In occasione dell’uscita di Cuori Intelligenti, la nuova letteratura Garzanti Scuola, DLive vi propone alcune pagine del manuale, esemplificative dello stile e dei contenuti scelti dall’autore. Nelle settimane scorse vi abbiamo proposto la lettura dell’introduzione al Volume 1 – Dalle origini al Rinascimento, l’introduzione al Volume 2 – Dal Barocco al Romanticismo, l’introduzione al volume su Giacomo Leopardi, l’introduzione al Volume 3– Dal secondo Ottocento al primo Novecento, l’introduzione all’antologia della Commedia e l’introduzione al percorso sulla Canzone.
Oggi vi proponiamo l’introduzione a uno dei percorsi tematici inseriti nella Guida per l’insegnante, che indaga il rapporto tra letteratura e lavoro durante il boom economico il periodo di massimo sviluppo nel nostro Paese.
L’Italia della prima metà del Novecento è una nazione essenzialmente agricola. Le industrie si concentrano nel cosiddetto “triangolo industriale” (Torino-Milano-Genova), mentre nel resto del paese la gran parte degli abitanti coltiva i campi o vive di allevamento o di pesca. Al Sud, le industrie quasi non ci sono, e quelle poche hanno dimensioni molto ridotte. Il romanzo di Carlo Bernari Tre operai, scritto nei primi anni Trenta, rispecchia questo stato di cose: la «fabbrica» in cui lavorano i suoi protagonisti non è infatti un’azienda che produce merci bensì una grossa lavanderia.
Dopo la seconda guerra mondiale, e in particolare nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, tutto cambia, e l’Italia vive la più grande e repentina trasformazione della sua storia. È il boom economico, e per farsi un’idea di che cosa sia stato si possono leggere alcuni libri di quel periodo o vedere alcuni film (come Il posto di Ermanno Olmi, o Il marito di Nanni Loy, o Il vedovo di Dino Risi, o Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli), oppure si può dare un’occhiata ai dati economici: nel 1958 vengono prodotte in Italia 10.000 lavatrici, nel 1963 diventano 1.263.000; nel 1958 vengono prodotti 370.000 frigoriferi, nel 1963 un milione e mezzo; la produzione di automobili quintuplica; nel 1962 si comincia a costruire l’autostrada del Sole; tra il 1954 e il 1963 il reddito nazionale quasi raddoppia; nello stesso arco di tempo, tre milioni di persone lasciano le campagne (dati desunti dal saggio di A. Saibene, Ritorno al Milnovecentosessanta, in Unicità d’Italia, a cura di E. Morteo, Marsilio, Venezia 2011).
È una rivoluzione. Di più: è un’immane trasformazione socioculturale, sulla quale rifletteranno a lungo gli intellettuali del secondo Novecento (buona parte dell’opera di Pasolini è, ad esempio, una meditazione amara su quella che lui chiamerà la «mutazione antropologica» che a quell’epoca ha travolto gli italiani). Ma al di là del giudizio che si può dare di questa trasformazione, è importante capire che lì, in quegli anni, nasce l’Italia che ancora oggi abbiamo sotto gli occhi, con le sue grandezze e le sue miserie. Alcune aziende italiane diventano protagoniste dell’economia mondiale: la Olivetti, che produce macchine da scrivere e prodotti per l’ufficio; la Fiat, che produce automobili; la Montecatini, che applica le scoperte in campo chimico di Giulio Natta (premio Nobel nel 1963) per produrre nuovi materiali come il Moplen, e che nel 1966 si fonderà con la Edison dando vita al colosso Montedison; e soprattutto l’Eni, fondata nel 1953 da Enrico Mattei, che nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta diventa uno dei protagonisti mondiali nel settore petrolchimico.
Ma il boom economico ha, com’è inevitabile, dei costi umani che le statistiche economiche non riescono a vedere. Li vedono invece gli scrittori, che ce li raccontano in pagine esemplari, pagine non solo letterariamente molto riuscite, ma anche interessanti come documenti, come fotografie dell’Italia del secondo Novecento: Donnarumma all’assalto di Ottieri, La vita agra di Bianciardi e Memoriale di Volponi; e infine un outsider molto divertente che ci porta un po’ più avanti nel tempo, e che è utilissimo a capire che cosa poteva essere la vita d’ufficio negli anni Settanta: il Fantozzi contro tutti di Paolo Villaggio.
Claudio Giunta
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