
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, nell’ottobre del 2024, ha adottato una sentenza in materia di rapporti tra alcune norme della FIFA e il diritto dell’Unione europea.
Per comprendere il significato di questa pronuncia occorre muovere da una breve premessa.
La FIFA (acronimo della denominazione francese Fédération Internationale de Football Association) rappresenta la federazione internazionale che governa il movimento calcistico a tutti i livelli. In base all’articolo 2 del suo statuto, nella versione del settembre 2020, essa si propone di «redigere regole e provvedimenti disciplinanti il giuoco del calcio e le questioni ad esso afferenti facendo in modo che vengano rispettate» e di «controllare il giuoco del calcio in tutte le sue forme, adottando tutte le misure necessarie o opportune per impedire la violazione dello statuto, dei regolamenti, delle decisioni della FIFA o dei regolamenti del giuoco». La FIFA è composta da federazioni calcistiche nazionali che sono tenute in particolare a provvedere affinché i propri membri o affiliati rispettino tutte le norme da essa stabilite.
Il 22 marzo 2014, la FIFA ha adottato il Regolamento sullo status e sui trasferimenti dei giocatori, entrato in vigore il 1º agosto dello stesso anno in sostituzione di un Regolamento precedente avente il medesimo oggetto. Il Regolamento in questione ha, tra l’altro, disciplinato il “trasferimento dei calciatori”, vale a dire la possibilità per questi ultimi, tesserati con un’associazione, di essere tesserati presso una nuova, diversa associazione. Il Regolamento ha stabilito che, affinché detto trasferimento possa avvenire, è necessario che la associazione alla quale il calciatore chiede di essere trasferito riceva il cosiddetto certificato internazionale di trasferimento. Si tratta di un documento che deve essere emesso dalla federazione nazionale alla quale appartiene il club di provenienza, proprio allo scopo di consentire il nuovo tesseramento del calciatore.
Sul trasferimento dei calciatori, il Regolamento del 2014 ha disposto alcune regole particolari nel caso in cui un nuovo club ingaggi un giocatore a seguito della risoluzione del contratto di lavoro avvenuta senza giusta causa. Nell’ipotesi che si sta descrivendo, in estrema sintesi, il calciatore lascia il club di provenienza prima della scadenza del contratto, senza un sufficiente e adeguato motivo che giustifichi la cessazione anticipata del rapporto di lavoro.
In questa circostanza, la normativa FIFA imponeva una sorta di presunzione che il nuovo club avesse istigato il giocatore a risolvere il contratto di lavoro che lo legava al club di provenienza. Proprio per questo, la stessa prevedeva che il giocatore e il nuovo club fossero insieme (solidamente) responsabili del pagamento di una indennità da corrispondere al club di provenienza, per il “pregiudizio” a esso causato. Inoltre, la normativa esponeva il nuovo club, in taluni casi, a una sanzione sportiva, consistente nel divieto di tesserare qualsiasi nuovo giocatore per un periodo determinato. Infine, lo stesso Regolamento stabiliva limitazioni per il rilascio del certificato internazionale di trasferimento.
La Corte di Giustizia è stata chiamata a giudicare sulla compatibilità di tali disposizioni con il diritto dell’Unione europea. Deve essere infatti precisato che la Corte ha operato una distinzione tra norme (puramente) sportive e norme sportive di rilievo, per così dire, economico. Queste ultime, in particolare, proprio perché impattano sul principio di concorrenza e sullo sviluppo economico degli Stati membri, devono essere rispettose del diritto dell’Unione. Su di esse, quindi, la Corte ha ritenuto di poter operare una sorta di controllo, almeno in riferimento all’osservanza del diritto europeo.
In particolare, la Corte ha giudicato la normativa della FIFA in esame rispetto al principio della libera circolazione dei lavoratori, che è uno dei principi fondamentali dell’UE sin dalla sua istituzione. Essa è sancita all’articolo 45 TFUE e vieta ogni restrizione che impedisca illegittimamente ai lavoratori dell’Unione europea di accettare offerte di lavoro presso un diverso Stato membro e di svolgere lì la propria attività lavorativa.
In riferimento al Regolamento FIFA, la Corte di Giustizia dell’Unione europea – riprendendo alcune osservazioni già svolte nella notissima sentenza Bosman – ha riconosciuto che le norme sui trasferimenti possono essere giustificate, in un certo senso, dall’obiettivo di assicurare la regolarità delle competizioni sportive. Infatti, la composizione delle squadre è uno dei parametri essenziali delle competizioni. Di conseguenza, il mantenimento di una certa stabilità nell’organico dei club, e quindi di una certa continuità dei relativi contratti, è stato considerato dalla Corte come uno dei mezzi idonei a contribuire al perseguimento di tale obiettivo.
Tuttavia, ad avviso della Corte, il Regolamento sullo status e sui trasferimenti dei giocatori si spingeva oltre quanto è necessario per perseguire l’obiettivo in questione, violando perciò il diritto dell’Unione. La FIFA dovrà pertanto modificare il Regolamento adeguandosi alla sentenza della Corte.
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Rispondi alle seguenti domande:
1. Che cosa si intende con “diritto dell’Unione europea”?
2. Che rapporto c’è tra il diritto dell’Unione e il diritto dei singoli Stati membri?
3. Quali sono le funzioni della Corte di giustizia della UE?
4. Quale può essere, secondo te, la differenza tra norme puramente sportive e norme sportive di rilievo economico, o giuridico, o, più in generale, statali?
5. Oltre alla FIFA, conosci altri organismi internazionali che regolano una particolare disciplina sportiva? Se sì, quali?