Raccontare Sciascia

Raccontare Sciascia

Leonardo Sciascia – foto di Angelo Pitrone, per gentile concessione.

Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Leonardo Sciascia, nato l’8 gennaio 1921 a Racalmuto (Agrigento). Il modo migliore per ricordarlo è leggere i suoi libri, che hanno superato la prova del tempo e sono entrati a pieno titolo nel novero dei classici.

I generi letterari
Leonardo Sciascia fu uno scrittore versatile. Scrisse saggi, romanzi, articoli di giornale, poesie. Contaminò il saggio con la narrativa e il romanzo con la scrittura saggistica. Libri come Morte dell’inquisitore o La scomparsa di Majorana, pur avendo una veste prevalentemente saggistica, si leggono come romanzi, perché lo stile è avvincente e l’autore non si preoccupò di indicare con note e bibliografia i propri riferimenti, come è uso nella forma del saggio. D’altra parte, romanzi come Il contesto, Todo modo, Porte aperte contengono riferimenti e citazioni più o meno nascosti, che il lettore può scoprire a ogni rilettura, come in una sfida letteraria.
Inoltre, Sciascia innovò il giallo classico, proponendo intrecci polizieschi che si allontanano dalla tradizione inglese, nella quale il delitto era presentato come un meccanismo razionale del quale l’investigatore immancabilmente scopriva e svelava la logica. Nei libri di Sciascia, invece, gli investigatori non riescono a ricomporre la verità. Dopo l’ultima pagina, il lettore formula la propria soluzione o rimane nel dubbio, che diviene cifra della ricerca della verità. Non è pessimismo, ma passione tenace di un intellettuale che cerca la verità fino in fondo e non si arrende nemmeno di fronte alla prospettiva della morte.

I temi

Spesso citiamo Sciascia per il tema della mafia, perché il suo romanzo Il giorno della civetta lo rese popolare in tutto il mondo, ma in realtà Sciascia affrontò tanti temi. Con la sua prosa asciutta e tagliente descrisse le tradizioni della Sicilia, fornendo un affresco variegato e non trascurandone mai la complessità. Le feste religiose, la triste condizione delle zolfare, il fenomeno migratorio, il sogno americano, il Fascismo vengono inseriti in un contesto di ampio respiro e collegati alle tradizioni di Francia, Spagna, Belgio. Sciascia viaggiò molto e d’abitudine trascorreva mesi a Parigi. I percorsi del suo cammino si univano a quelli della mente di avidissimo lettore e di bibliofilo. La sua passione per le edizioni rare, le incisioni, le acqueforti, il teatro, il cinema lo resero un intellettuale a tutto tondo. Leggere i suoi libri significa immergersi nei vari aspetti dell’Italia del secondo Novecento. Nelle sue opere Sciascia spesso analizza un fatto storico, un’opera letteraria del passato, solleva una questione di attualità, ma il valore dei suoi testi è nell’universalità: l’autore, pur riferendosi a eventi particolari, di fatto esprime un sentire assoluto.

Per approfondire

Letture
• M. Collura, Il maestro di Regalpetra. Vita di Leonardo Sciascia, La nave di Teseo, 2019.
Il testo ripercorre la vita di Sciascia e svela molte curiosità utili per contestualizzare le sue opere.

In occasione del centenario, stanno uscendo molti saggi. Vi segnaliamo:
• S. Picone – G. Restivo, Dalle parti di Leonardo Sciascia. I luoghi, le parole, la memoria, Zolfo editore, 2021.
Il libro consente di accostarsi allo scrittore attraverso i luoghi in cui visse (Racalmuto, Caltanissetta, Palermo) o quelli che segnarono la sua formazione (Milano, Parigi, la Spagna).

• A. Campanella – G. M. Piscopo, Raccontare Sciascia, Navarra editore (in corso di pubblicazione, disponibile a partire dal 15 marzo 2021).
Il libro affronta in modo sintetico tutti i temi chiave delle opere sciasciane e contiene un saggio introduttivo di Salvatore Ferlita.

• F. Catalano – A. Amendola – E. Giap Parini, Il tenace concetto. Leonardo Sciascia: la lettura, la conoscenza, l’impegno civile, Rogas edizioni, 2021.
Il volume indaga l’attualità delle opere di Sciascia attraverso i dialoghi dei curatori con Fabrizio Catalano, regista, nipote dello scrittore e coordinatore delle iniziative della ‘Fondazione Leonardo Sciascia’ per il centenario.

Vi proponiamo ora un’analisi di un testo di Sciascia secondo le indicazioni ministeriali per la prima prova del nuovo Esame di Maturità, tipologia A.

TIPOLOGIA A – ANALISI E INTERPRETAZIONE DI UN TESTO LETTERARIO

Giorno della civetta

Il romanzo di Leonardo Sciascia Il giorno della civetta, pubblicato nel 1961, è un poliziesco basato su un fatto di cronaca: l’omicidio del sindacalista Accursio Miraglia, avvenuto a Sciacca nel 1947; nel titolo, ispirato a un verso di Shakespeare, la civetta è metafora della mafia che agisce alla luce del sole, dopo avere operato in segreto per tanto tempo. Nel brano qui riportato, il capitano Bellodi, originario di Parma, interroga il potente “padrino” don Mariano.

Prima di venire dal capitano, don Mariano aveva reclamato il barbiere: e un carabiniere gli aveva dato una passata di rasoio che era stata un vero refrigerio; e si passava ora la mano sulla faccia godendo di non trovare la barba che, aspra come carta vetrata, gli aveva dato negli ultimi due giorni più fastidio di quanto gliene dessero i pensieri.
Il capitano disse «si accomodi» e don Mariano sedette guardandolo fermamente attraverso le palpebre grevi: uno sguardo inespressivo che subito si spense in un movimento della testa, come se le pupille fossero andate in su, e in dentro, per uno scatto meccanico. […]
«Mi permetta una domanda: lei che affari crede che io faccia?»
«Tanti, e diversi».
«Non faccio affari: vivo di rendita».
«Che rendita?»
«Terre».
«Quanti ettari ne possiede?».
«Ventidue salme1 e… facciamo novanta ettari».
«Danno buona rendita?»
«Non sempre: secondo l’annata».
«In media, che reddito può dare un ettaro delle sue terre?»
«Una buona parte della mia terra io la lascio germa2: per il pascolo… Non posso dire dunque quanto mi rende per ettaro quella lasciata germa: posso dire quanto mi rendono le pecore… A tagliare di grasso, mezzo milione… Il resto, in grano, fave, mandorle e olio, secondo le annate…».
«Quanti ettari sarebbero, quelli coltivati?»
«Cinquanta sessanta ettari».
«E allora posso dirle io quanto rendono per ettaro: non meno di un milione».
«Lei sta scherzando».
«Eh no, è lei che sta scherzando… Perché mi dice di non avere, oltre le terre, altre fonti di reddito; che non ha mano in affari industriali o commerciali… Ed io le credo: e perciò ritengo che quei cinquantaquattro milioni che lo scorso anno ha depositato in tre diverse banche, poiché non risultano prelevati da precedenti depositi presso altre banche, rappresentino esclusivamente il reddito delle sue terre. Un milione per ettaro, dunque… E le confesso che un perito agrario, da me consultato, è rimasto strabiliato; perché, secondo il suo parere, non c’è terra, in questa zona, che possa dare un reddito netto superiore alle centomila lire per ettaro. Lei pensa che si sbagli?»
«Non si sbaglia» disse don Mariano, incupito.
«Dunque siamo partiti sul piede sbagliato… Torniamo indietro: da quali fonti provengono i suoi redditi?».
«Non torniamo indietro per niente: io i soldi miei li muovo come voglio… Posso solo precisare che non sempre li tengo in banca: a volte ne faccio prestiti ad amici, senza cambiali, in fiducia… E l’anno scorso tutti i soldi che avevo fuori mi sono ritornati: e ho fatto quei depositi nelle banche…».
«Dove c’erano già altri depositi, a suo nome e a nome di sua figlia…».
«Un padre ha il dovere di pensare all’avvenire dei figli».
«È più che giusto: e lei ha assicurato a sua figlia un avvenire di ricchezza… Ma non so se sua figlia riuscirebbe a giustificare quel che lei ha fatto per assicurargliela, questa ricchezza… So che per ora si trova in un collegio di Losanna: costosissimo, famoso… Immagino lei se la ritroverà davanti molto cambiata: ingentilita, pietosa verso tutto ciò che lei disprezza, rispettosa verso tutto ciò che lei non rispetta…».
«Lasci stare mia figlia» disse don Mariano contraendosi in una dolorosa fitta di rabbia. E poi rilassandosi, come a rassicurare se stesso, disse «Mia figlia è come me».
«Come lei?… Mi auguro di no: e d’altra parte lei sta facendo di tutto perché sua figlia non sia come lei, perché sia diversa… E quando non riconoscerà più sua figlia, tanto sarà diversa, lei avrà in qualche modo pagato lo scotto di una ricchezza costruita con la violenza e la frode…».
«Lei mi sta facendo la predica».
«Ha ragione… Lei il predicatore va a sentirlo in chiesa, e qui vuol trovare lo sbirro: ha ragione…
Parliamo dunque di sua figlia per quel che le costa in denaro, per il denaro che lei accumula in suo nome… Molto, moltissimo denaro; di provenienza, diciamo, incerta… Guardi: queste sono le copie fotografiche delle schede, intestate a suo nome e a nome di sua figlia, che si trovano presso le banche. Come vede, abbiamo cercato non solo nelle agenzie del suo paese: ci siamo spinti fino a Palermo… Molto, moltissimo denaro: lei può spiegarne la provenienza?»
«E lei?» domandò impassibile don Mariano.
«Tenterò: perché nel denaro che lei accumula così misteriosamente bisogna cercare le ragioni dei delitti sui quali sto indagando; e queste ragioni bisogna in qualche modo illuminare negli atti in cui la imputerò di mandato per omicidio… Tenterò… Ma lei una spiegazione al fisco deve pur darla, agli uffici fiscali noi ora trasmetteremo questi dati…». Don Mariano fece un gesto di noncuranza.
«Abbiamo anche copia della sua denuncia dei redditi e della cartella di esattoria: lei ha denunciato un reddito…».
«Uguale al mio» intervenne il brigadiere.
«… e paga di tasse…».
«Un po’ meno di me» disse ancora il brigadiere.
«Vede?» disse il capitano. «Ci sono molte cose da chiarire, che lei deve spiegare…». Di nuovo don Mariano fece un gesto di noncuranza. […]
«Gli uffici fiscali, a quanto vedo, non sono la sua preoccupazione».
«Non mi preoccupo mai di niente» disse don Mariano.
«E come mai?»
«Sono un ignorante; ma due o tre cose che so, mi bastano: la prima è che sotto il naso abbiamo la bocca: per mangiare più che per parlare…».
«Ho la bocca anch’io, sotto il naso» disse il capitano «ma le assicuro che mangio soltanto quello che voi siciliani chiamate il pane del governo».
«Lo so: ma lei è un uomo».
«E il brigadiere?» domandò ironicamente il capitano indicando il brigadiere D’Antona.
«Non lo so» disse don Mariano squadrando il brigadiere con molesta, per il brigadiere, attenzione.
«Io» proseguì poi don Mariano «ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; mezz’uomini pochi, che mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più in giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle pozzanghere ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo…».
«Anche lei» disse il capitano con una certa emozione. E nel disagio che subito sentì di quel saluto delle armi scambiato con un capo mafia, a giustificazione pensò di avere stretto le mani, nel clamore di una festa della nazione, e come rappresentanti della nazione circonfusi di trombe e bandiere, al ministro Mancuso e all’onorevole Livigni: sui quali don Mariano aveva davvero il vantaggio di essere un uomo. Al di là della morale e della legge, al di là della pietà, era una massa irredenta di energia umana, una massa di solitudine, una cieca e tragica volontà: e come un cieco ricostruisce nella mente, oscuro ed informe, il mondo degli oggetti, così don Mariano ricostruiva il mondo dei sentimenti, delle leggi, dei rapporti umani. E quale altra nozione poteva avere del mondo, se intorno a lui la voce del diritto era stata sempre soffocata dalla forza e il vento degli avvenimenti aveva soltanto cangiato3 il colore delle parole su una realtà immobile e putrida?
«Perché sono un uomo: e non un mezz’uomo o addirittura un quaquaraquà?» domandò con esasperata durezza.
«Perché» disse don Mariano «da questo posto dove lei si trova è facile mettere il piede sulla faccia di un uomo: e lei invece ha rispetto… Da persone che stanno dove sta lei, dove sta il brigadiere, molti anni addietro io ho avuto offesa peggiore della morte: un ufficiale come lei mi ha schiaffeggiato; e giù, nelle camere di sicurezza, un maresciallo mi appoggiava la brace del suo sigaro alla pianta dei piedi, e rideva… E io dico: si può più dormire quando si è stati offesi così?»
«Io dunque non la offendo?»
«No: lei è un uomo» affermò ancora don Mariano.
«E le pare cosa da uomo ammazzare o fare ammazzare un altro uomo?»
«Io non ho mai fatto niente di simile. Ma se lei mi domanda, a passatempo, per discorrere di cose della vita, se è giusto togliere la vita a un uomo, io dico: prima bisogna vedere se è un uomo…».
«Dibella4 era un uomo?»
«Era un quaquaraquà» disse con disprezzo don Mariano: si era lasciato andare, e le parole non sono come i cani cui si può fischiare a richiamarli.

(Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1961)


1 Unità di misura un tempo usata in Sicilia per indicare l’estensione di un terreno.
2 Incolta.
3 Cambiato, per influsso del dialetto siciliano.
4 Calogero Dibella era un esattore per conto dei mafiosi ed era stato ucciso a causa delle sue delazioni ai carabinieri.


Comprensione e Analisi
Puoi rispondere punto per punto oppure costruire un unico discorso che comprenda le risposte alle domande proposte.

  1. Sintetizza il contenuto del brano, individuando le richieste del capitano Bellodi e gli argomenti di difesa di don Mariano (max 5 righe).
  2. La mentalità mafiosa è descritta attraverso riferimenti indiretti e atteggiamenti: trova qualche esempio nel testo.
  3. A che cosa allude don Mariano quando al capitano, che fa riferimento agli uffici fiscali, risponde «Non mi preoccupo mai di niente»?
  4. Qual è la gerarchia sociale secondo la visione di don Mariano?
  5. Don Mariano allude alle sue attività di usuraio. Individua nel testo le affermazioni che consentono di dedurre queste attività.
  6. Descrivi lo stile della prosa di Sciascia, facendo puntuali riferimenti al testo.

Interpretazione
Nel brano si contrappongono due atteggiamenti: da un lato quello del capitano Bellodi, che è il simbolo di quanti hanno fiducia nella giustizia e nella legge, e dall’altro quella dell’ipocrisia e dell’illegalità di don Mariano; questo tema è al centro di tante opere letterarie e cinematografiche, dal romanzo di Manzoni fino agli esempi di oggi, che parlano in modo esplicito di rapporti di potere, soprusi e ingiustizie all’interno della società. Esponi le tue considerazioni su questo tema, facendo riferimento alle tue letture, conoscenze ed esperienze.

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