Dai supporti visivi alla CAA: quando un’immagine non vale l’altra

Dai supporti visivi alla CAA: quando un’immagine non vale l’altra

I simboli pittografici utilizzati sono di proprietà del governo di Aragona e sono stati creati da Sergio Palao per ARASAAC (http://www.arasaac.org), che li distribuisce sotto Licenza Creative Commons BY-NC-SA. 

Negli ultimi anni, il panorama editoriale italiano ha visto crescere molteplici iniziative dedicate alla pubblicazione di testi in simboli, scritti utilizzando sistemi simbolici per la Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA).

La vera diffusione di strumenti di comunicazione, materiali didattici, libri modificati in simboli si è avviata però precedentemente, grazie al web e ai social network, determinando un allargamento del campo di azione della CAA dall’ambito nativo della pratica clinica a quello familiare, scolastico e sociale.

Ovviamente questa tracimazione dall’ambito clinico agli ambienti di vita delle persone con Bisogni Comunicativi Complessi – che hanno bisogno della CAA per riuscire a instaurare relazioni sociali ed essere protagonisti delle proprie scelte – è un dato positivo per il superamento delle barriere, ma è anche frutto di un processo non regolato, che procede tuttora a macchia d’olio.

In ambito scolastico, la CAA approda per le disabilità gravi, in cui la parola è compromessa e la comunicazione è affidata a tabelle, puntatori oculari, sintetizzatori vocali, oltre che a tutte le modalità comunicative che la specifica persona utilizza, quali  gesti, vocalizzi e sguardi, con scambi però troppo spesso limitati all’interazione a due, docente-studente.

A questo si aggiunge che le potenzialità delle diverse funzioni dell’immagine nell’apprendimento, in un ambiente comunicativo e didattico quale è la scuola, tendono a dissolversi in un utilizzo occasionale e/o estemporaneo dei mediatori iconici, considerati minoritari rispetto al linguaggio verbale.

«Il nostro pensiero per immagini viene di norma percepito legato alle emozioni, privo di logica, frammentario e mescolato a impressioni e sensazioni provenienti da altri organi di senso che non siano la vista. In altre parole siamo tentati di guardare al pensiero per immagini come a un pensiero primitivo, come al pensiero che serve al bambino fino a quando, con l’uso della parola e della scrittura, non sviluppi pienamente il pensiero verbale, e con esso la razionalità, la capacità di astrarre e di simbolizzare.» (Il linguaggio e le immagini di L. Catastini).

Preso atto di una concezione ausiliaria ma non indispensabile dell’utilizzo delle immagini nella didattica giornaliera, va però ribadita la necessità di una distinzione fondamentale nell’utilizzo dei simboli CAA:

  • se servono a rendere più chiaro, semplice o immediato un messaggio verbale, allora hanno funzione di supporti visivi (si pensi alle istruzioni attaccate davanti a noi seduti in aereo) e possono essere scelti puntando anche sulla funzione di ricambio (Barthes) con il messaggio scritto;
  • se servono come mezzo di comunicazione, allora devono avere prioritariamente funzione di ancoraggio (Barthes). Non si può comunicare in una maniera in un luogo e in un altro in modo diverso; in un’ora sì, in un’altra no. Occorre condividere scelte e strumenti con tutti i partner comunicativi, insieme agli specialisti, evitando iniziative estemporanee.

A scuola si tende talvolta a privilegiare la funzione decorativa dell’immagine o a ricorrervi essenzialmente per le situazioni di difficoltà di apprendimento.

Ritengo che la diffusione della CAA possa essere un importante stimolo a ripensare la mediazione didattica non in un’ottica “additiva” ma piuttosto dinamica, di ricambio tra testo e immagine, dove entrambi sono necessari al raggiungimento del significato. 

L’8 aprile 2022 l’autrice e formatrice Maria Grazie Fiore ti aspetta al webinar gratuito “Incroci inclusivi: insegnare con la CAA“. Clicca qui per informazioni e iscrizioni.

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