Prevedere i futuri possibili per agire in modo sostenibile nel presente

Prevedere i futuri possibili per agire in modo sostenibile nel presente

Possiamo davvero influenzare, prevedere e indirizzare il nostro futuro? Ci sono più futuri o solo uno che ci aspetta?
Queste sono le grandi domande che ci poniamo quando parliamo di studi sul futuro, domande su cui è attualmente aperto un ampio dibattito.
Partiamo da una premessa importante: come ricordato da molti studiosi del settore, non è corretto parlare di futuro al singolare ma di futuri, perché esiste un ampio spettro di previsioni (più o meno felici) al 2030, 2040, 2050 e oltre, che variano a seconda del nostro comportamento nel corso del tempo. Ad esempio, se perseguiremo abitudini inquinanti andremo incontro al cosiddetto worst scenario (scenario peggiore). In caso contrario, favoriremo la creazione di un futuro più sostenibile, ovvero il best scenario (scenario migliore). Studiare i futuri, in questo caso, non serve tanto a “indovinare” una previsione specifica, quanto a figurare le tendenze dei prossimi anni in modo da attuare dei cambiamenti nel presente.
All’interno di queste “previsioni” si inseriscono una serie di variabili molto diverse tra loro, più o meno prevedibili, come l’automazione, la mobilità condivisa, il cambiamento climatico, il turismo spaziale, il consumo sostenibile. Queste saranno parte del “Next normal” dei prossimi anni, la “nuova normalità” che sta emergendo dall’era post-pandemica.

Futuri da evitare o favorire

Di fronte a questa “nuova normalità” si pongono sfide non indifferenti. Come ha detto il segretario generale dell’Onu António Guterres: “Siamo di fronte al rischio del collasso del nostro sistema” e, ha commentato Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS ed ex ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, in un intervento avvenuto durante il Festival del Futuro 2022, “Noi vogliamo evitare questo scenario”.

Secondo Giovannini, esistono quattro possibili strade che l’umanità potrebbe percorrere in futuro. La prima è “quella di continuare a dire che ce la faremo”, ma seguire le stesse politiche di oggi (business as usual), sperando che la situazione non peggiori.

“La seconda visione è quella di un futuro distopico, in cui avverrà effettivamente un disastro” e in cui gli unici a potersi garantire la sopravvivenza saranno i ceti benestanti, come i “ricchi della Silicon Valley”.

La terza opzione, ha proseguito Giovannini, è applicare una “visione retrotopica” (termine coniato da Zygmunt Bauman): se la realtà globalizzata diventa troppo complessa, veloce e frammentaria, alcune persone sentono il bisogno di tornare indietro (una retrotopia, per l’appunto) a un passato solo “apparentemente” più sicuro.

Cosa ci resta da fare, dunque? Applicare “la quarta visione, quella utopica”, che consiste nella possibilità di invertire i trend negativi che già esistono, e convertirli in trend positivi. “Dobbiamo essere utopici”, ha concluso Giovannini. “Non sognare qualcosa di impossibile, ma provare a costruire qualcosa di diverso dagli altri scenari, un futuro migliore”.

Infatti, “il futuro non appare improvvisamente, ma si costruisce tramite step intermedi, investendo, scegliendo, sbagliando, per fare il passo successivo”. Per questa ragione i governi dovrebbero impegnarsi in un cambiamento di approccio, “dove futuro e progresso siano parti integranti della funzione di uno Stato”, istituendo ministeri del Futuro e centri di studio sul tema.

Un istituto pubblico di studi sul futuro

La proposta di un istituto pubblico di studi sul futuro, portata avanti dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) con il supporto di FUTURAnetwork, la piattaforma di dibattito sui temi del futuro fondata dall’Alleanza, è stata inserita in un decalogo “per un’Italia sostenibile”, pubblicato in occasione della scorsa campagna elettorale, facendo registrare importanti convergenze tra le forze politiche.

Ma di istituti di questo tipo, anche se spesso non se ne parla, esistono già alcuni esempi a livello internazionale e nazionale.
Ricordiamo infatti che organizzazioni intergovernative come la Nato e l’Ocse hanno programmi consolidati di previsione strategica. Ad esempio, la Strategic foresight unit istituita dall’Ocse nel 2013 lavora con molti governi e organizzazioni per progettare politiche pubbliche di lungo termine.

Allo stesso modo la Commissione europea si è impegnata a porre “la previsione strategica al centro” del suo processo decisionale. Un primo esempio è la pubblicazione annuale della Relazione di previsione strategica, che informa sugli esercizi di programmazione a lungo termine. A giugno 2022 è stata diffusa la terza Relazione che, sulla base di uno studio del Joint research center, approfondisce l’integrazione delle due transizioni (quella verde e quella digitale) nel nuovo contesto geopolitico.
Attorno a questo lavoro si è organizzata una rete di “Ministri per il Futuro” per “rafforzare le capacità di previsione degli Stati membri e della Commissione europea, anticipare le principali tendenze, identificare e sfruttare le migliori opportunità e quindi progettare migliori politiche pubbliche”.
Ma anche molti governi nazionali (tra cui Francia, Galles, Svezia, Singapore, Emirati Arabi Uniti e altri) si sono mossi in questo senso, consci dell’importanza di applicare un approccio sistemico per la progettazione delle politiche pubbliche, perché una previsione dei futuri possibili è imprescindibile per compiere scelte sostenibili nel presente.


Il 17 maggio 2023 Carolina Facioni, sociologa e dottoressa di ricerca, research assistant in Istat, membro di Aiquav e chief scientist di “Futuri”, introduce la disciplina degli studi di futuro e affronta il tema della complessità. L’incontro costituisce il sesto appuntamento del ciclo di webinar “Sostenibilità: protagonisti del cambiamento”, realizzato da ASviS e Deascuola.

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