Le profondità marine sono una frontiera ancora quasi totalmente inesplorata. Recentemente è stato stimato che la percentuale di fondali marini mappati ammonti globalmente al 19%. Nonostante nella ricerca “abissale” si siano fatti passi da giganti, abbiamo ancora molta strada da percorrere nell’esplorazione delle profondità dei mari, considerando anche che il nostro pianeta è ricoperto di acqua per oltre il 70% e che “mappare” non significa esplorare completamente un ambiente così estremo ma può voler dire solamente “conoscerne l’esistenza”.
Il punto più profondo mai identificato si trova nell’Oceano Pacifico in un luogo al centro di molta letteratura più o meno fantascientifica: la Fossa delle Marianne, che raggiunge gli 11 km nel suo tratto più profondo, con l’abisso Challenger. Esistono molte altre zone abissali meno note ma altrettanto affascinanti come la Fossa di Porto Rico nell’Oceano Atlantico (8,4 km) o la Fossa di Giava nell’Oceano Indiano (7,3 km). Nonostante queste incredibili profondità, gli esseri umani hanno trovato il modo di esplorare anche aree così estreme svelandone, almeno in parte, i segreti. Sonde, sommergibili, ROV (Remoted Operated Vehicles – veicoli operati da remoto), spedizioni tecnologicamente avanzatissime almeno quanto quelle spaziali, ci hanno permesso di arrivare là dove nessun essere umano era mai giunto prima, ma le difficoltà da superare in queste esplorazioni sono ancora molte.
Cosa rende così inaccessibili tali profondità?
I fattori che rendono gli abissi tra gli ambienti più estremi in assoluto sono fondamentalmente tre e con la loro variazione definiscono la vita e gli habitat in tutti i nostri mari: la luce, la temperatura e la pressione. Dalla variazione di questi tre “fattori abiotici” (non di origine biologica) dipendono gli adattamenti degli organismi che popolano le profondità del mare e che riescono sempre e comunque a comunicare tra loro, spostarsi, nutrirsi e riprodursi.
La luce
La luce diminuisce con l’aumentare della profondità, i raggi del sole colpiscono la superficie dell’acqua e gradualmente perdono l’intensità, il calore e il “colore”. Le componenti dello spettro solare del rosso e del giallo, infatti, si perdono dopo pochi metri lasciando spazio al blu e al viola che raggiungono acque più profonde. Al di sotto dei 200 metri circa si ha la zona afotica, cioè priva di luce (e quindi anche colori). Al di sotto di questa quota praticamente nessun organismo vegetale può sopravvivere.
Gli abissi sono un dominio quasi esclusivo di specie animali che si sono adattate all’assenza della luce. Molti adattamenti riguardano gli organi deputati alla visione che, se presenti, sono rappresentati solitamente da occhi grandi o “tubolari” per raccogliere anche le minime quantità di luce. In altri casi le creature degli abissi si sono evolute per vedere solo certi tipi di luce. Le profondità marine sono infatti il regno della bioluminescenza, la capacità di alcuni organismi di produrre luce grazie ad una proteina chiamata luciferina e a un enzima chiamato luciferasi. Tale luce, di solito di colore blu o verde, consente a molti animali abissali di comunicare tra loro, attirare potenziali prede ma anche sfuggire ai predatori disorientandoli. Proprio quest’ultima strategia viene adottata da molte specie di copepode (piccoli crostacei, non più grandi di 1 o 2 millimetri, diffusi in tutti i mari del mondo) che sono capaci, se minacciati, di emettere forti flash di luce in grado di spaventare o confondere potenziali predatori.
La temperatura
La temperatura in generale diminuisce man mano che ci si allontana dalla superficie verso il fondo del mare. Il calore associato ai raggi del sole, infatti, si disperde lungo la discesa verso le profondità influenzando significativamente le caratteristiche dell’acqua, come la concentrazione di nutrienti e di ossigeno. Scendendo lungo la colonna d’acqua la temperatura non varia proporzionalmente ma ci sono zone, dette termoclini, in cui a una piccola variazione di profondità corrisponde una grande variazione di temperatura. I termoclini presenti in mare variano con le stagioni e formano habitat separati che ospitano organismi con adattamenti a specifiche temperature.
Tra i 200 e i 600 metri circa negli oceani si trova il termoclino che separa gli abissi dal resto del mondo marino e solo nella stagione invernale, e in particolari condizioni, questa barriera di temperatura si può mitigare dando accesso agli strati più superficiali anche ad organismi di profondità. Negli abissi oceanici (escludendo i mari artici e antartici) le temperature minime che si possono raggiungere si aggirano tra i 2 e i 3°C e solitamente chi vive a tali temperature non ha meccanismi di regolazione termica ma è strettamente legato alle condizioni ambientali tanto da rischiare di non sopravvivere a piccole variazioni dovute a fenomeni naturali o di origine antropica (riscaldamento climatico). Nel caso però di organismi come il pesce spada, che popolano tutta la colonna d’acqua spingendosi a cacciare anche oltre i 500 metri, la natura ha sviluppato interessanti strategie di adattamento. Il pesce spada, per assicurare il successo delle sue incursioni profonde, è dotato, intorno all’occhio, di un muscolo (il retto superiore) che non serve a contrarsi ma genera calore, scaldando i tessuti intorno a sé e mantenendo cervello e vista efficienti anche a temperature molto basse.
La pressione
La pressione aumenta all’aumentare della profondità: ogni 10 metri che si percorrono dalla superficie del mare si aggiunge 1 atmosfera (1 atm) al valore della pressione atmosferica (pari a 1 atm). A 10 metri avremo quindi 2 atm di pressione e a 11km, nella fossa delle Marianne, avremo una pressione che supera le 1000 atmosfere. Un corpo immerso a tali valori di pressione subisce su ogni centimetro della sua superficie la pressione di oltre 1 tonnellata, circa il peso di una vettura utilitaria leggera.
Gli organismi per adattarsi a pressioni così elevate, hanno solitamente corpi molli e ossa flessibili, contrariamente a quello che si potrebbe pensare. In profondità, infatti, il moto del mare diventa quasi irrilevante e la flessibilità consente a tali animali di non spezzarsi, conformandosi anche a qualche variazione di pressione dovuta a loro spostamenti lungo la colonna d’acqua. Pseudoliparis swirei, ad esempio, chiamato anche pesce lumaca delle Marianne (Mariana Snailfish), è il pesce che si è osservato più in profondità in assoluto (vedere video sottostante) ed è caratterizzato da uno scheletro flessibile non ossificato ma costituto di cartilagine. Inoltre, è dotato di strutture cellulari e proteiche altamente adattabili a pressioni estreme che possono rappresentare una grande risorsa per la ricerca scientifica.
Video di pesci lumaca mentre si nutrono a 7000 metri di profondità nella Fossa delle Marianne
Perché esplorare gli abissi?
Gli esseri umani da sempre inventano nuovi metodi per esplorare sempre più a fondo le aree più inaccessibili del nostro Pianeta, ma questa corsa all’ignoto non è solo alimentata dalla sete di conoscenza. Gli abissi potrebbero nascondere nuovi giacimenti minerari o di altre risorse, ma anche nuove sostanze bioattive magari prodotte da qualche organismo di profondità, che potrebbero guarire malattie ad oggi incurabili o nuove strategie adattative che ci potrebbero far comprendere meglio come funzioniamo. La soluzione a molti dei problemi del nostro tempo potrebbe trovarsi alcuni chilometri sotto il pelo dell’acqua, magari proprio in quell’80% delle profondità marine ancora tutte da scoprire.
FARE SCIENZE
In natura non vince il più forte ma chi si è adatta meglio (role playing – dibattito)
Il docente può guidare il gruppo in un esercizio tra la fantascienza e la realtà affrontando così l’importanza dell’adattamento degli organismi viventi alle condizioni ambientali (anche estreme): immaginate un futuro in cui l’essere umano colonizzerà altri pianeti. Tra i pianeti che consentiranno alla nostra specie di sopravvivere ci saranno pianeti molto freddi (o molto caldi), pianeti quasi completamente bui (o con troppa luce) e pianeti caratterizzati da una pressione (o una gravità) molto alta (o molto bassa). Il gruppo dovrebbe pensare a quali adattamenti sarebbero necessari per gli organismi vegetali ed animali (compresi gli esseri umani) del pianeta per sopravvivere. Il docente potrà così collegare alcune proposte del gruppo ad alcune delle strategie suggerite nell’articolo mostrando come l’evoluzione possa selezionare gli adattamenti più semplici ed efficaci per garantire la sopravvivenza e la propagazione delle specie.
Attività di laboratorio – La pressione dell’acqua
Materiale: 1 bottiglia di plastica Si praticano 2 o 3 fori distanziati e in colonna sul fianco di una bottiglietta di plastica. Quando viene introdotta l’acqua si vedrà che l’acqua uscirà più forte dal buco più in basso. Se si procede a tappare la bottiglia, escludendo la pressione dell’aria sulla superficie dell’acqua nella bottiglietta, l’acqua non uscirà più. Questo esperimento mostra su piccola scala come la pressione dell’acqua aumenti con l’aumentare della profondità e si sommi a quella atmosferica.