Quando le donne diventano cittadine della repubblica delle lettere

Quando le donne diventano cittadine della repubblica delle lettere

Nel Medioevo cristiano, il posto delle donne sembra essere il cielo, non la terra. 
All’inizio dell’Inferno, Dante perduto nella foresta viene salvato da Virgilio, ma Virgilio è stato mandato a salvarlo da Beatrice, la quale a sua volta era stata sollecitata da Santa Lucia, di cui Dante era devoto; e Santa Lucia, a sua volta, era stata spinta a muoversi dalla Vergine Maria. Tutte donne. 
E anche le poche donne-scrittrici di cui sia stato tramandato il nome sono per lo più persone che hanno preso i voti consacrandosi alla vita religiosa, e che nei loro scritti ci comunicano le idee e i sentimenti che risultano da un’eccezionale esperienza di fede: pensiamo a Santa Chiara (1194-1253), la prima discepola di San Francesco, o alle splendide pagine in cui Angela da Foligno (1248-1309) o Santa Caterina da Siena (1347-1380) raccontano le loro visioni mistiche. 
Come mai le donne non sembrano partecipare alla scrittura (e quindi alla vita) nel mondo? Come mai è raro, fino al Cinquecento inoltrato, trovare il loro nome nelle liste dei poeti, dei narratori, dei pensatori? La risposta è semplice. Per millenni, le donne sono state tenute ai margini della sfera pubblica: pensavano alla casa, al marito, ai figli. A parte il lavoro nei campi, ben di rado si impegnavano in mansioni che le portassero a contatto con il mondo che si apriva al di fuori delle porte di casa: non amministravano, non commerciavano, non producevano, non combattevano, non sovrintendevano ai culti. Soprattutto, non studiavano. Di fatto, i ‘lavori femminili’ potevano essere svolti senza un’istruzione scolastica: le madri insegnavano alle figlie a cucinare, cucire, badare ai (tanti) bambini, lavorare i campi, e tanto bastava. I pochi soldi di cui le famiglie disponevano venivano adoperati per far studiare i figli maschi, perché erano loro quelli destinati a ‘entrare nel mondo’. Ecco, per esempio, come in un anonimo poemetto in ottave viene descritta l’educazione che conviene trasmettere a una ragazza perbene:

E la fanciulla si attenda1 a filare,
a far cusina e a servir sia presta2,
a ogni cosa che per casa è a fare,
secondo el tempo così sia richiesta; 
con maschi non lassarla conversare3,
né sia lasciva4 quando fusse a festa
andar nanzi5 atenda con discrezione
ad honesto diletto6 e orazione. 

(El costume de le donne, a cura di Salomone Morpurgo, Firenze, Libreria di Dante 1889)

Filare, cucinare, servire a tavola; e guai a dare confidenza ai ragazzi! Ecco quella che era nel Medioevo (ma in realtà sin quasi ai giorni nostri) la vita immaginata per le giovani donne. Di leggere e scrivere non era davvero questione.

Non è strano, perciò, che le rare scrittrici di cui resta testimonianza siano per lo più donne nobili che hanno il tempo e i mezzi economici per dedicarsi alla propria educazione e all’arte, cioè che non erano obbligate a passare le loro giornate – come dice il poemetto appena citato – a filare, a cucinare, a servire. 

Questa situazione di subalternità non cambierà tanto presto. È vero che a partire dal Quattrocento saranno più numerose le donne anche laiche – cioè che non hanno scelto di prendere i voti religiosi ed entrare in convento, ma che vivono nel mondo – che avranno l’occasione di studiare, quindi di leggere e scrivere: addirittura, nel 1558 viene pubblicato a Lucca un libro intitolato Rime diverse d’alcune nobilissime et virtuosissime donne, che raccoglie i testi di una cinquantina di poetesse, tra le quali figurano i nomi di scrittrici di eccezionale valore come Vittoria Colonna (1490-1547), Gaspara Stampa (1523-1554), Veronica Gambara (1485-1550), Veronica Franco (1546-1591). Ma anche se cinquanta è un numero considerevole, si tratta comunque di una piccola minoranza, a fronte delle centinaia di scrittori maschi che popolano, nel Rinascimento e dopo, le storie letterarie; e una minoranza formata soprattutto da aristocratiche, che scrivono le loro poesie come un piacevole passatempo, e che in quanto scrittrici ricevono un ben scarso riconoscimento sociale. Inoltre quelle che compongono sono quasi sempre poesie: i generi più seri e impegnativi del poema o del racconto (poi del romanzo), per non parlare del saggio filosofico, restano appannaggio quasi esclusivo degli uomini: in un mondo in cui gli affari pubblici erano gestiti dagli uomini, alle donne restava lo spazio dell’interiorità, dei sentimenti, i quali si esprimono appunto per lo più attraverso la poesia. Così, per secoli, le donne non hanno potuto esprimere liberamente la loro intelligenza nella filosofia, nella scienza, nell’arte. 

Le cose cambiano radicalmente nel corso del secolo XIX. In quest’epoca, soprattutto nei paesi protestanti, le donne cominciano a godere di una libertà che le loro antenate non avevano conosciuto, e adoperano questa libertà anche per produrre opere d’arte e di pensiero. Erano eccezioni quasi solitarie fino alla Rivoluzione francese; si fanno più numerose nel corso dell’Ottocento (pensiamo ai saggi e ai romanzi di Madame de Staël, ai romanzi di Jane Austen o Charlotte Brontë, alla geniale creatrice del racconto di Frankenstein, Mary Shelley); diventano tantissime nel corso del Novecento, e oggi il numero di artiste donne continua a crescere. 

Ma è stato, come abbiamo detto, un lunghissimo e faticoso percorso. E lungo questo percorso pochi testi sono stati tanto importanti quanto un saggio della grande narratrice inglese Virginia Woolf intitolato Una stanza tutta per sé (1929). Leggiamone un estratto:

«Man mano che il Settecento avanzava, centinaia di donne cominciarono a guadagnare qualcosa da aggiungere al denaro per le piccole spese o per andare in soccorso delle loro famiglie facendo traduzioni, oppure scrivendo gli innumerevoli romanzucoli che non sono più ricordati nemmeno dai testi scolastici ma si possono trovare fra i libri a pochi soldi sulle bancarelle di Charing Cross Road […].
Così, verso la fine del Settecento si produsse un cambiamento tale che, se dovessi riscrivere la storia, io lo descriverei più a fondo e lo riterrei più importante delle Crociate o della Guerra delle Due Rose. La donna della classe media cominciò a scrivere. Perché, se Orgoglio e pregiudizio è importante e se Middlemarch e Villette e Cime tempestose sono importanti7, allora importa assai più di quanto io sia in grado di dimostrare […] che le donne in generale, e non solamente la solitaria aristocratica, cominciarono a scrivere […].
Se siamo donne, dobbiamo pensare il passato attraverso le nostre madri. È inutile andare a chiedere aiuto ai grandi uomini, per quanto piacevole possa essere rivolgersi a loro. Lamb, Browne, Thackeray, Newman, Sterne, Dickens, De Quincey – o chiunque altri sia – non sono ancora mai stati d’aiuto a una donna, sebbene questa possa aver appreso da loro alcuni trucchi e possa averli adattati a uso proprio. Il peso, il movimento, il ritmo di una mente maschile sono troppo diversi dai suoi perché lei possa trarne con successo qualcosa di consistente […]. Per quanti sforzi faccia, una donna non riuscirà a trovare nelle loro pagine quella sorgente di vita perpetua che i critici le garantiscono di potervi trovare. Perché non è solo il fatto che essi celebrano virtù maschili, confermano virtù maschili e descrivono l’universo maschile; è che l’emozione della quale questi libri sono permeati risulta incomprensibile a una donna8».

Questo è anche l’approccio che abbiamo adottato nel nuovo manuale di Letteratura per il triennio della scuola superiore Ogni cosa nel mondo (Garzanti Scuola 2025). Le rubriche che – non a caso – si intitolano Una stanza tutta per sé propongono una riflessione critica sulla presenza, il ruolo e la specificità della voce delle donne a partire dai testi a cui hanno affidato i loro pensieri. Un viaggio nei secoli passati che porta fino al Novecento: quando il ruolo delle donne – e quindi il loro spazio nella letteratura – cambia fino a diventare tanto importante quanto quello degli uomini.

1 si attenda: si dedichi.
2 presta: pronta.
3 conversare: parlare, avere confidenza.
4 lasciva: scostumata.
5 nanzi: innanzi, cioè ‘piuttosto’.
6 honesto diletto: un piacere che non sia sconveniente.
7 Romanzi, rispettivamente, delle scrittrici Jane Austen, George Eliot, Charlotte Brontë ed Emily Brontë.
8 V. Woolf, Una stanza tutta per sé, tradotto dall’inglese da M.A. Saracino, Einaudi, Torino 1995.

Leggi anche

Giorno della Memoria: proposte didattiche per una lezione non retorica
L’angolo del libraio: consigli di lettura per il biennio #8 Black Boy Fly, di Marco Ballestracci
L’angolo del libraio: consigli di lettura per il biennio #7 Natale al femminile, a cura di Eleonora Carantini
Questo l'hai letto? #34 ‘Hikikomori’ di A. Rizzi, F. Silei
Parole paritarie - Il lessico dell’inclusione #10 Consenso
Questo l'hai letto? #33 ‘Non la sfiorare’ di R. Morgese