Qualche settimana fa un’insegnante ci ha posto un interessante interrogativo sulla nostra pagina Facebook: in che modo si possono conciliare le prove Invalsi (uguali per tutti gli studenti) con un’esigenza di personalizzazione dell’insegnamento? Abbiamo colto lo spunto e abbiamo chiesto a Viviana Rossi, responsabile dell’area BES di Deascuola, di commentare quale sia, secondo lei, l’equilibrio che può esistere fra Invalsi e BES.
A cura di Viviana Rossi
Le prove Invalsi che si effettuano durante l’anno scolastico nelle classi seconde e quinte di scuola primaria e seconde di scuola secondaria di secondo grado non sono finalizzate alla valutazione individuale degli alunni, ma al monitoraggio dei livelli di apprendimento conseguiti dal sistema scolastico nell’area linguistica e matematica/scientifica per fornire a ogni scuola uno strumento di diagnosi per migliorare il proprio lavoro e la qualità degli apprendimenti.
Pertanto, essendo prove di rilevazione e di misurazione degli apprendimenti/insegnamenti di queste due aree, devono essere oggettive, standardizzate, … quindi uguali per tutti.
Per gli allievi con Bisogni Educativi Speciali (BES), per i quali sia stato redatto apposito Piano Didattico Personalizzato, devono essere però fornite utili e opportune indicazioni, tra cui gli strumenti compensativi, indicati nello stesso PDP, necessari per consentire a tali alunni di sostenere adeguatamente le prove.
In ogni caso la concezione dei test Invalsi è frutto di analisi approfondite dei sistemi di istruzione europei, con i quali, nella prospettiva di una politica di educazione/istruzione a livello Europeo, è necessario confrontarsi. Nella maggior parte dei paesi occidentali, infatti, le scuole convivono tranquillamente da molti anni con la rilevazione degli apprendimenti su base nazionale. Da noi, invece, questa cultura sembra non prendere piede, anche se sono parecchi i docenti che ogni giorno, nella loro aula, cercano con professionalità di garantire il diritto allo studio di tutti i loro alunni, riconoscendone e valorizzandone le diversità e, quindi, adeguando le loro proposte e pratiche didattiche alle loro potenzialità .
Deve essere chiaro che i test Invalsi non possono sostituire la valutazione fatta dai docenti, perché non valutano il singolo studente, ma misurano gli apprendimenti degli studenti per una corretta diagnostica delle carenze del sistema di istruzione in alcuni campi.
Una problematica a parte riveste, invece, l’inserimento della prova Invalsi in ambito di esami finali del primo ciclo. Sotto questo profilo appare abbastanza discutibile la prassi di far valere il risultato della prova Invalsi di “terza media” ai fini del voto finale dell’esame del primo ciclo di istruzione. Dopo le riflessioni sopra riportate, proprio per la diversa finalità che un esame conclusivo di un ciclo di studi comporta in merito alla valutazione personale dell’alunno, tale problematica necessita di un approfondimento nelle sedi ministeriali opportune.
In ogni caso, l’inclusione si fa nella pratica quotidiana: non sono le due giornate di test oggettivi dell’Invalsi che annullano il processo inclusivo quotidiano di un insegnante!