In data 25 ottobre 2023, esattamente a un mese dalla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, il numero di vittime in Italia ha già toccato quota 100. Più della metà delle donne uccise è stata vittima della violenza di mariti, fidanzati ed ex compagni per le “solite”, inammissibili, ragioni: gelosia, dimostrazione di potere, vendetta, possesso, incapacità di accettare la separazione.
Per questo motivo Deascuola propone un approfondimento sul tema, uno strumento in più per aiutare ragazze e ragazzi a riflettere su questa tragedia.
FEMMINICIDIO
La parola “femminicidio” è entrata da alcuni anni nel linguaggio dei media e della politica per descrivere i casi di omicidio in cui le vittime, donne, sono uccise in quanto donne, cioè per moventi legati al genere.
La parola è stata promossa, in Italia come in altri paesi, dall’attivismo dei movimenti delle donne per indicare la radice strutturale di una violenza che mira ad annientare la soggettività delle donne, fino all’eliminazione fisica.
Si tratta di una categoria ormai accreditata anche internazionalmente, utilizzata dalla criminologia accademica e da organismi come le Nazioni Unite, l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa.
Il 25 novembre, data stabilita dalle Nazioni Unite per celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, ricorda il grave femminicidio di tre attiviste politiche, le sorelle Mirabal – Patria, Minerva e Maria Teresa – per ordine del dittatore Rafael Leónidas Trujillo nella Repubblica Dominicana, nel 1960.
Due origini
La parola italiana “femminicidio” ha una duplice origine. La prima radice è nel termine femicide (femmicidio), promosso dal femminismo statunitense fin dagli anni Settanta.
Si deve soprattutto alla criminologa Diana H. Russell l’opera di precisazione e diffusione del concetto, per denunciare l’uccisione di donne come effetto di una cultura sessista che propaga, promuove, giustifica, legittima la loro disumanizzazione.
L’autrice parla di una «politica» dell’ammazzare le donne, evidenziando il peso dell’inazione, delle mancanze, degli errori commessi dagli attori che dovrebbero concorrere a prevenire la violenza e a evitarne gli esiti fatali.
L’altra radice del termine usato in italiano rimanda allo spagnolo feminicidio. Ad averne promosso l’adozione a livello mondiale sono stati i movimenti femministi dell’America Centrale e del Sud. Marcela Lagarde, antropologa messicana, parla di una violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale che «ponendo la donna in una condizione indifesa e di rischio, può culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine».
L’importanza di una parola
Il termine “femminicidio” è stato coniato e promosso anche per cambiare la narrazione della violenza, sostituendo locuzioni come “delitto passionale”, “raptus di follia” o “dramma della gelosia”.
La parola serve infatti a cogliere il carattere non isolato, non episodico, dell’atto omicida, il suo radicamento all’interno di pratiche sociali misogine.
Cambiare la narrazione serve a cogliere anche la dimensione collettiva della responsabilità per il perpetuarsi delle violenze contro le donne e per il loro contrasto, e la necessità di una trasformazione profonda dei rapporti di potere tra i generi, per scardinare un sistema che opprime le donne a livello economico, sociale, politico, culturale.
Per approfondire
• Per maggiori approfondimenti sui concetti di femmicidio e femminicidio si può leggere la scheda prodotta dal Centro per i Diritti Umani dell’Università di Padova https://unipd-centrodirittiumani.it/it/schede/I-concetti-di-femmicidio-e-femminicidio/368
• Per una breve panoramica del problema e della storia della violenza contro le donne, si può vedere il video Rai dedicato alla Giornata del 25 novembre https://www.raiplay.it/video/2017/11/25-Novembre-giornata-internazionale-contro-la-violenza-sulle-donne-39780172-13cd-41a1-a711-4f09cf6fefac.html
• Per conoscere il lavoro dei centri antiviolenza, che ogni giorno accolgono donne vittime di abusi, per aiutarle a sottrarsi al rischio di femminicidio, si può leggere la raccolta di storie e riflessioni di Lella Palladino, Non è un destino. La violenza maschile contro le donne oltre gli stereotipi, Donzelli 2020.