Il rapido sviluppo delle macchine fotografiche digitali ha fornito uno strumento in grado sia di osservare pianeti e stelle sia di rivelare le particelle elementari1. Probabilmente, se Galileo vedesse l’ottica della più semplice macchina fotografica (anche analogica) dei giorni nostri, lontana discendente del suo telescopio, si commuoverebbe come un bambino. In suo onore possiamo ripetere alcune delle sue storiche esperienze riproducendole in chiave moderna (Qui un video in cui vengono esposti molti dei temi trattati qui).
1. La Luna.
Questa è forse l’esperienza più semplice. Anche con uno smartphone è possibile fotografare il nostro satellite nelle sue varie fasi di illuminazione. Va bene qualunque app di fotografia, purché permetta di regolare la durata dell’esposizione, la sensibilità (ISO equivalente) e soprattutto il fuoco, che va posto all’infinito. Le regolazioni variano a seconda della fase lunare e del telefono; l’ideale sarebbe un treppiede ma la Luna è sufficientemente luminosa da essere fotografabile anche a mano. Con uno zoom ottico2 di circa 10 ingrandimenti si riescono a distinguere alcune delle strutture osservate da Galileo. Oltre alle fasi e alle eclissi lunari, è possibile studiare l’orbita ellittica del nostro satellite, fotografandolo in più giorni, quando si trova a distanze diverse dal nostro pianeta, e verificare – con un programma di editing – che il diametro varia di conseguenza, con una differenza di circa il 13% tra apogeo e perigeo (Figura 1. Qui un sito che riporta la distanza della Luna in tempo reale). In questa maniera è possibile anche calcolare la risoluzione del nostro apparato fotografico, dividendo il numero di pixel in cui è presente la Luna per le sue dimensioni3.
2. Il Colore delle stelle.
Il nostro apparato visivo di notte utilizza i bastoncelli come “rivelatori”. I bastoncelli sono elementi maggiormente fotosensibili dei coni (che usiamo nella visione diurna), ma – a differenza di questi ultimi – non forniscono una visione cromatica, ma solo a toni di grigio. Questo non ci permette di apprezzare i fulgidi colori delle stelle che popolano la nostra galassia. Con un po’ di sforzo possiamo percepire il colore delle giganti rosse come Betelgeuse e Aldebaran e l’algido bianco/blu di stelle luminose come Sirio, ma poco di più. Con una macchina fotografica è invece possibile rendersi conto della varietà cromatica delle stelle già con una singola foto. Per apprezzare meglio i colori è però preferibile regolare una esposizione lunga, anche di qualche secondo (a seconda dell’inquinamento luminoso del cielo4) e far sì che la rotazione terrestre tramuti i puntini in strisce luminose di vario colore (Figura 2). In questa maniera, inoltre, i pixel della macchina fotografica non risulteranno saturati, permettendoci di apprezzare meglio i colori degli astri.
1 Gli esperimenti descritti possono essere effettuati sia con smartphone sia con webcam o macchine fotografiche indipendenti. Ognuno di questi strumenti ha pregi e difetti: lo smartphone è il più diffuso ed è adatto alla fotografia stellare, ma non ha un grande zoom ottico e quindi si presta meno bene a osservare le lune di Giove. D’altro canto, vi sono app specifiche per la rivelazione dei raggi cosmici. Le webcam sono estremamente flessibili soprattutto se programmate dal PC, ma hanno anch’esse un’ottica limitata e richiedono una logistica più complessa. La macchina fotografica indipendente è forse l’oggetto più adatto per effettuare gli esperimenti, soprattutto perché è relativamente semplice regolare esposizione, numero di foto e zoom, dato che di solito hanno un’ottica migliore degli smartphone.
2 L’unica cosa importante nelle macchine fotografiche è lo zoom ottico, ottenuto fisicamente spostando le lenti e cambiando la loro lunghezza focale (negli smartphone sono talvolta presenti più fotocamere a fuoco fisso ma ciascuna con una diversa lunghezza focale). Uno zoom elevato corrisponde a un ingrandimento maggiore e a un campo visivo più ristretto, permettendoci di osservare dettagli altrimenti non visibili. Nello zoom digitale i singoli pixel vengono ingranditi con un algoritmo interno alla fotocamera, ma identico (anzi di solito inferiore) a quello dei programmi di editing fotografico presenti nel computer, senza che però siano aggiunte ulteriori informazioni. Ci ritroveremo con una foto più grande ma più “sfocata”.
3 Se la Luna ha un diametro d che si estende per X pixel sulla fotocamera, la risoluzione spaziale di ciascun pixel è:
R=X/d = 3.8 km
Il diametro apparente d dipende dalla distanza Terra-Luna D, per cui di solito si utilizza la risoluzione angolare, ossia l’angolo sotteso da ciascun pixel. In questo caso abbiamo:
θ≅d/D = 9 millesimi di radiante = 0.52 gradi
angolo apparente della Luna [a essere pignoli θ=2*arctan (d/2D), ma per piccoli angoli la differenza è trascurabile]
In questo caso la risoluzione angolare di un pixel è
β=θ/X = 0.57 millesimi di grado.
4 L’esposizione massima è limitata dalla luce artificiale diffusa nel cielo (anche dalla Luna stessa). In una esposizione troppo lunga il fondo luminoso finisce per sommergere la luce delle stelle (e anche tutto il resto), per cui è necessario effettuare un compromesso tra durata della foto e traccia delle stelle. In alternativa si possono scattare più foto in sequenza e sovrapporle una sull’altra.