La peer education, più comunemente detta “educazione tra pari”, è una strategia educativa oggi considerata dal punto di vista pedagogico tra le più innovative e si basa sull’idea di promuovere un processo di trasmissione di esperienze e conoscenze tra i membri di un gruppo di pari.
Nasce nei primi anni ’90 alla Harvard University, grazie alle sperimentazioni del professor Eric Mazur e presenta similitudini con il metodo della Flipped Classroom.
Il corso di fisica del professor Mazur prevedeva una lettura preparatoria dell’argomento da parte degli studenti prima dell’incontro in aula, momento in cui l’insegnante poteva porre ai suoi studenti precise domande sulla base della loro preparazione antecedente. Gli studenti che avevano scelto la risposta sbagliata, erano invitati a discuterne con i compagni di banco e spesso, già al secondo tentativo, dopo la fase di confronto, riuscivano a rispondere correttamente.
Dagli studi svolti si è riscontrato che questa metodologia ha effetti positivi su entrambi i soggetti coinvolti: lo scambio di nozioni permette non solo una crescita del livello di apprendimento ma anche un notevole aumento del livello di autostima. Gli studenti che si confrontano con i propri pari sono infatti più attenti e più propensi a porre domande ai compagni, non provando quell’imbarazzo tipico del confronto con un adulto.
Dall’altra parte chi trasmette ha la possibilità di ripetere quanto appreso e imparare a padroneggiare gli argomenti vivendo con senso di responsabilità il proprio ruolo e cominciando a prendere coscienza delle proprie capacità.
Durante questa attività, l’insegnante è chiamato a svolgere un ruolo marginale di supervisore e osservatore: è importante, infatti, che assista mantenendo la distanza e senza intervenire nel caso di errori o momenti di silenzio.
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La peer education viene oggi adottata soprattutto nelle scuole superiori con i ragazzi adolescenti perché considerata uno strumento utile per attivare processi di comunicazione, inclusione e socializzazione naturale. Mai come durante l’adolescenza, infatti, risulta fondamentale l’appartenenza al gruppo dei pari e il confronto con i “simili”. La peer education, applicata nei gruppi di adolescenti, rappresenta un ponte fra le dinamiche sociali – fondamentali per la crescita e lo sviluppo dell’alunno – e la scuola più classica, fatta di programmi, verifiche, lezioni e regole.
In Italia ha avuto una diffusione piuttosto lenta, tanto da essere considerata una pratica ancora giovane e, per ora, è stata oggetto di sperimentazione da parte di operatori del volontariato, del servizio sanitario e della scuola secondaria. In particolare è stata adottata nell’ambito della prevenzione dei comportamenti a rischio degli adolescenti, come la lotta all’Aids e alle malattie sessualmente trasmissibili.
Tra le esperienze più innovative, quest’anno è stato organizzato il Peerdojo, un laboratorio di programmazione e coding in cui ragazzi mostrano ai compagni come creare progetti e videogiochi, divertendosi.