Nel 1998 la sociologa Judy Singer utilizzò per la prima volta la definizione di neurodiversità, che da quel momento ha acquisito una popolarità e una diffusione sempre maggiori.
Secondo Judy Singer, la neurodiversità è l’equivalente neurologico della biodiversità; è un termine che definisce la naturale variabilità esistente tra un cervello e l’altro e secondo cui ogni persona è quindi neurodiversa.
All’interno di questa infinita varietà di caratteristiche neurologiche che ci accomuna è però possibile suddividere gli individui in due grandi gruppi.
Al primo gruppo, definito neurotipico, appartengono coloro che seguono uno sviluppo neurologico che – al netto delle differenze individuali – è possibile considerare tipico, ovvero comune alla maggioranza.
Esiste poi un secondo gruppo di persone il cui sviluppo neurologico generale è definito atipico, che in uno o più aspetti essenziali diverge dalla maggioranza, ed è definito neurodivergente o neuroatipico. Alle neurodivergenze appartengono condizioni come l’autismo, la sindrome di Tourette, l’ADHD (disturbo da deficit d’attenzione e iperattività) e i disturbi dell’apprendimento.
Tutto questo potrebbe apparire una sottigliezza, eppure l’introduzione del concetto di neurodiversità riveste un ruolo estremamente importante nel dare forma a una narrazione delle condizioni del neurosviluppo che si allontani dalla classica visione deficitaria mutuata dal linguaggio e dal pensiero medico, per avvicinarsi a una concezione maggiormente centrata sull’idea di differenza invece che su quella di difetto.
Questa idea è figlia di ciò che viene definito come modello sociale della disabilità, nato tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 in Gran Bretagna, e che non considera la disabilità come un attributo della persona ma come il risultato dell’interazione tra un individuo dalle caratteristiche fisiche, neurologiche o sensoriali specifiche (in inglese definite impairment) e una società che è strutturata da e per persone che invece condividono altre caratteristiche, ossia la maggioranza.
Si tratta di un cambiamento di prospettiva importante perché responsabilizza la società intera della disabilitazione di alcuni suoi membri, ma soprattutto perché allontanarci da un modello prettamente medico-riparatore delle neurodivergenze e pensare in termini di differenze ci permette di scoprire possibilità laddove una visione centrata sul deficit ci mostra soltanto limiti.
Pensiamo a quanti bambini neurodivergenti crescono pensando di essere difettosi, di non farcela, di doversi adattare a un funzionamento neurologico che non appartiene loro, e finiscono per convincersi di non valere abbastanza. Ma i bambini autistici crescono e diventano adulti autistici convinti di non farcela e considerati dalla società come difettosi.
Specialisterne è un’azienda impegnata nel favorire l’inserimento nel mondo del lavoro di persone nello spettro autistico. Come responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne mi interfaccio giornalmente con una realtà nuova. Dopo anni passati a sensibilizzare numerose aziende su tematiche di inclusione lavorativa, notiamo una domanda crescente da parte del settore privato nell’acquisire giovani nello spettro autistico. Nonostante questo trend in ascesa, riscontriamo numerose difficoltà nell’acquisizione di talenti, nel trovare giovani convinti di poter essere parte attiva della società e avere un impiego.
Ci troviamo davanti alla necessità di un cambiamento di prospettiva radicale che parta proprio dalla scuola su temi legati all’orientamento dei giovani. È importante che la scuola assuma un ruolo chiave nell’identificare e valorizzare le caratteristiche e i talenti dei giovani nello spettro autistico e nell’accompagnarli in un cammino di presa di coscienza del proprio potenziale. Ho una visione della scuola come agenzia della diversità, dove ogni membro della comunità educante sia consapevole del proprio ruolo e si impegni in prima persona a favorire l’inserimento in società dei giovani neurodivergenti. Parafrasando Roberto Medeghini, dobbiamo apprendere a includerci nelle differenze dell’altro.
E proprio su questo concetto di diversità e disabilità che ci siamo trovati per creare un corso online che è stato progettato per noi da Loredana Leoni, esperta di inclusione.
> CORSO ONLINE – Inclusione di alunni con disabilità (25 ore)
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