Il mare potrebbe sembrare un ambiente silenzioso, ma in realtà è tutto il contrario: anche il più incontaminato dei fondali è ricco di suoni. Oltre ai suoni non biologici causati dal movimento del mare quali gli eventi atmosferici, il rompersi delle onde o il rotolare dei ciottoli (detti geofonia), esistono molti organismi marini che sono in grado di produrre suoni (chiamati biofonia) con modalità e motivazioni differenti. In mare la geofonia e la biofonia si accostano a un’altra fonte sonora, l’antropofonia, quella prodotta dall’essere umano e dalle sue attività, che non sempre si inserisce in questo scenario senza far danni. Ma andiamo con ordine.
Perché si parla così poco del suono sottomarino?
Fino a poco tempo fa esistevano pochissimi strumenti in grado di registrare e rilevare i suoni che vengono emessi in mare. In acqua il suono viaggia circa 5 volte più velocemente che nell’aria ed è molto complesso anche localizzare la fonte sonora in quanto le nostre orecchie non riescono a identificare, orientare e isolare i moltissimi suoni che si diffondono nel mezzo acquoso. Inoltre le frequenze di comunicazione utilizzate dagli organismi in mare sono spesso al di sopra o al di sotto delle soglie di udibilità degli esseri umani ed è obiettivamente molto difficile progettare strumenti in grado di percepire suoni che la specie umana non può sentire. La zona di massima udibilità degli esseri umani, infatti, è compresa circa tra 20Hz e 20kHz, mentre le comunicazioni degli organismi marini si svolgono nell’intervallo da circa 10Hz a 200kHz.
Chi emette suoni in mare e perché?
In mare gli organismi che possono emettere suoni sono numerosi: lo fanno alcuni crostacei, pesci e mammiferi marini. I motivi principali dell’emissione dei suoni sono riconducibili alla delimitazione del territorio, alla competizione per le risorse alimentari, alla ricerca del partner o alla comunicazione con membri della propria specie o appartenenti al proprio gruppo sociale. Nei pesci si possono trovare oltre 50 famiglie che comprendono specie produttrici di suoni generalmente con frequenze al di sotto di 2kHz e con intensità limitate che confinano il ruolo della comunicazione alle brevi distanze.
La produzione del suono nei pesci più essere di tre tipi: idrodinamica (data da movimenti del corpo veloci), meccanica (con lo sfregamento o percussione di parti rigide del corpo come denti e opercoli che possono essere amplificati dalla vescica natatoria) e vescico-natatoria (con contrazioni della vescica natatoria, organo che serve principalmente a regolare il galleggiamento dei pesci).
Un pesce molto studiato per la grande gamma di suoni che riesce a produrre (fischi, grugniti, gracidii, ronzii) è l’ Halobatrachus didactylus, il pesce rospo, che vive su fondali sabbiosi o fangosi lungo le coste africane occidentali e nel Mediterraneo fino ad un massimo di 50 metri di profondità. Fra i mammiferi marini, i cetacei hanno sviluppato notevoli capacità acustiche raggiungendo diverse gamme di frequenze e intensità spesso molto elevate, e che riescono a penetrare più efficacemente il mezzo acquoso; in particolare i cetacei odontoceti (come delfini e capodogli) e misticeti (come balene e balenottere) hanno sviluppato specifici adattamenti per sfruttare il suono come strumento di comunicazione su grandi distanze e producono suoni che vanno da frequenze di 1kHz fino anche a 200kHz.
I mammiferi marini utilizzano il suono non solo per comunicare ma anche per mantenere la struttura di un gruppo, per proteggersi, orientarsi, localizzare il cibo e in generale per comprendere l’ambiente intorno a loro. Possono produrre anche complesse sequenze di suoni che variano non solo da specie a specie ma anche all’interno della stessa specie a seconda della zona geografica di appartenenza. I cetacei, inoltre, emettono suoni anche per “vedere”: grazie all’emissione di suoni detti “click” e l’ascolto del loro eco di ritorno sono in grado di localizzare perfettamente le loro prede, identificandone la dimensione, la forma, la direzione e la velocità. I delfini possono identificare, ad esempio, una pallina di pochi centimetri di diametro, come una pallina da ping-pong, a circa 100 metri di distanza. Questa capacità prende il nome di eco-localizzazione ed è tipica anche di alcuni mammiferi terrestri quali i pipistrelli.
In questo scenario, quali sono gli effetti dell’antropofonia?
Purtroppo, molti dei rumori prodotti dalle attività umane creano una antropofonia in sovrapposizione con le frequenze utilizzate dagli organismi marini per la loro comunicazione e possono contribuire al deterioramento dei delicati equilibri all’interno di un habitat creando una vera e propria fonte di inquinamento. Nonostante tale fenomeno fosse un problema già noto da tempo, solo di recente è stato posto al centro dell’attenzione. L’implementazione di nuovi strumenti più sofisticati e nuovi calcolatori in grado di processare grandi quantità di dati, unita alla consapevolezza di un rumore marino in costante aumento, ha permesso di raggiungere una comprensione maggiore del danno che stiamo facendo ai nostri ecosistemi. Suoni intensi e occasionali o lievi e prolungati possono rappresentare una uguale minaccia in quanto sono entrambi in grado di compromettere la vita sottomarina.
L’inquinamento acustico in mare può essere causato da una varietà di attività umane, tra cui: il traffico marittimo (navi mercantili, navi militari), l’installazione e la manutenzione di strutture subacquee come cavi o gasdotti o le attività estrattive di petrolio e gas, che possono causare vibrazioni che si propagano nell’acqua. Questi suoni possono interferire con la comunicazione e l’orientamento degli organismi marini interferendo con la loro capacità di spostarsi, nutrirsi, riprodursi, relazionarsi e proteggersi dai predatori. Alcuni pesci, ad esempio, possono essere disorientati da suoni di bassa frequenza, che possono impedire loro di trovare cibo o di localizzare in tempo potenziali pericoli. I mammiferi marini, invece, possono essere esposti a un rischio maggiore di collisioni con le navi o di lesioni causate dall’interferenza dei sonar con i loro sistemi di eco-localizzazione.
Cosa possiamo fare?
Sarà importante nei prossimi anni, grazie alle competenze e conoscenze acquisite, impostare regole adeguate alla limitazione del rumore marino, limitando la navigazione o cambiando le modalità di spostamento sui nostri mari (ad esempio utilizzando navi elettriche più silenziose) anche grazie all’istituzione di nuove aree marine protette e al potenziamento di quelle già esistenti. Quando ci avviciniamo al mare, che ricopre oltre il 70% del nostro Pianeta, dovremmo sempre ricordarci che siamo solo ospiti e che abbiamo il dovere di comprendere al meglio le regole di una pacifica convivenza prima di compiere azioni che potrebbero condurre a danni a volte irreparabili. In queste ultime decadi non l’abbiamo fatto, ma potremmo avere ancora l’occasione per dimostrare che è possibile imparare dai propri errori.
Attività didattica
Per spiegare come l’antropofonia può interferire sull’emissione di suoni di alcuni organismi marini l’insegnante chiama un alunno/a al quale affida una pallina da ping-pong. L’alunno/a avrà il compito di lanciare la pallina da ping-pong contro il muro e di prenderla al volo. Questo semplice esempio schematizza il funzionamento dell’eco-localizzazione tipica di molti cetacei. L’impulso sonoro parte dall’animale colpisce la superficie di un oggetto e torna indietro, fornendo elementi di distanza, forma e natura dell’ostacolo che l’organismo si trova di fronte. A questo punto l’insegnante chiama altri 6 alunni/e che si posizionano alle spalle del/della primo/a, anch’essi/e dotati di pallina da ping-pong. Al via dell’insegnante le palline vengono lanciate tutte contemporaneamente nello stesso punto e il compito per il/la primo/a alunno/a rimane lo stesso: riprendere la pallina dopo il rimbalzo sulla parete. Tale attività, con l’interferenza delle altre sei palline, risulterà particolarmente complicata, dimostrando come l’impatto dell’inquinamento acustico possa compromettere la capacità di localizzare oggetti sott’acqua di alcuni organismi marini.
Per approfondire: https://www.science.org/doi/10.1126/science.aba4658