La “nuova normalità” delle smart city e della produzione responsabile

La “nuova normalità” delle smart city e della produzione responsabile

“Una delle più grandi lezioni apprese dalla crisi del Covid-19 è che le città sostenibili e resilienti sono state in grado di gestire meglio la pandemia”. Queste sono state le parole di Jan Vapaavuori, sindaco di Helsinki, in occasione di un intervento presso la Banca Mondiale nel 2021. Secondo un rapporto di Un-Habitat, infatti, la questione è quantomai centrale: a causa della pandemia 120 milioni di persone finiranno in povertà e il tenore di vita si ridurrà del 23%. Una “nuova normalità” deve perciò emergere nelle città attraverso alloggi, servizi e infrastrutture più efficienti.

Come possiamo però raggiungere questi obiettivi?

Secondo il rapporto, bisogna ripensare la forma e la funzione delle città, affrontare la povertà e le disuguaglianze, riscostruire una nuova economia urbana (con sostegni a piccole imprese, lavoratori informali e settori a rischio) e rendere più chiara la legislazione e la governance. In poche parole, bisogna creare delle smart city, o città intelligenti, dove la pianificazione urbanistica e l’innovazione nei servizi pubblici producano una vita migliore, attraverso interventi strutturali per la mobilità (ad esempio, il car sharing), una migliore efficienza energetica, tecnologie di comunicazione più sviluppate. E le istituzioni devono intervenire subito: basti pensare che, entro il 2050, è previsto che il 70% delle persone nel mondo vivrà in aree urbane.

Ma quali sono le nuove evoluzioni che potremo concretamente vedere nelle nostre città?

Un esempio sono le cosiddette città compatte (compact cities) caratterizzate da una maggiore densità residenziale, distanze brevi e un uso diversificato del territorio. Uno degli elementi cardine di questo progetto è il trasferimento da veicoli a motore privati a mezzi di locomozione come biciclette, trasporto pubblico a basse emissioni e viabilità pedonale. “Le città compatte portano grandi benefici alla salute dei cittadini”, ha rivelato uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet.

Barcellona, invece, sta progettando di creare oltre 500 “superblocchi” per ridurre il traffico dei veicoli a motore all’interno di alcune strade, fornendo più spazio per le persone e più aree verdi. Secondo Francesca Bria, già assessora alle Tecnologie e all’innovazione digitale di Barcellona al fianco della sindaca Ada Colau, l’iniziativa ha permesso di riconquistare il 60% dello spazio pubblico, riducendo i livelli di CO2 e favorendo una mobilità più sostenibile. Si stima anche che i superblocchi potrebbero prevenire quasi 700 morti premature ogni anno nella città catalana.

Parigi, invece, sta introducendo il modello della città dei 15 minuti, un luogo dove lavoro, scuola, intrattenimento e altre attività possano essere raggiunti a un quarto d’ora a piedi da casa. La Ville du quart d’heure è stato uno dei cavalli di battaglia nella campagna elettorale della sindaca di Parigi Anne Hidalgo; l’artefice dell’idea, però, è Carlos Moreno, urbanista associato presso la Sorbona di Parigi. La visione di Moreno è quella di una città policentrica, dove la densità abitativa venga resa piacevole e gli abitanti possano soddisfare sei categorie di funzioni sociali: vivere, lavorare, rifornirsi, curarsi, imparare e divertirsi. “Dobbiamo ripensare le città in base ai quattro principi guida (ecologia, vicinanza, solidarietà, partecipazione) che sono gli elementi chiave costitutivi della città dei 15 minuti”, ha affermato Moreno nel corso di un Ted Talk.

Si fa strada quindi l’idea di una città policentrica, o città arcipelago – per usare l’espressione dell’architetto Stefano Boeri – in cui le priorità siano la riduzione del traffico, la desincronizzazione dei tempi di vita e un maggiore impiego degli spazi aperti, come strade e piazze, giardini e parchi.

“L’idea di creare un policentrismo urbano capace di superare la gerarchia spaziale tra centro e periferia è una strategia molto giusta”, ha affermato a questo proposito Walter Vitali, direttore scientifico di Urban@it – Centro nazionale di studi per le politiche urbane e coordinatore del Gruppo di lavoro Goal 11 dell’ASviS. “Da decenni gli urbanisti ci lavorano ma è indubbio che il Covid-19 stia accelerando questo processo. Il secondo elemento è muoversi nel solco della sostenibilità. A me pare che la lezione principale della pandemia sia nella formula ‘One world One health’”, l’approccio per cui la salute del pianeta e quella umana sono strettamente legate.

Un’altra buona notizia è che l’Unione Europea ha recentemente pubblicato l’elenco delle città candidate alla missione del Green Deal europeo “Cento città intelligenti e a impatto climatico zero entro il 2030”. Tra la candidate, ci sono 36 città sono italiane, che hanno numerosi obiettivi, tra cui:

  • Contribuire in modo significativo alla riduzione delle emissioni dell’Ue del 55 %;
  • Garantire ai cittadini un’aria più pulita, trasporti più sicuri e meno congestione del traffico;
  • Assumere un ruolo guida nell’innovazione digitale e climatica, rendendo l’Europa attraente per gli investimenti delle imprese innovative e per i lavoratori più qualificati;
  • Diventare luoghi in cui “la politica incontra i cittadini” e dove il Green Deal europeo entra concretamente nella vita quotidiana degli europei;
  • Ispirare le altre città a diventare climaticamente neutre.

È inoltre importante sottolineare che l’impatto del Covid-19 ha fatto aumentare la produzione e il consumo di articoli più sostenibili, sani e di provenienza locale. Le aziende stanno spostando la produzione in direzione della sostenibilità attraverso valori etici. Secondo Euromonitor, l’idea di sostenibilità si è evoluta oltre le tematiche ambientali come l’inquinamento da plastica e i cambiamenti climatici, mirando a un approccio capace di creare valore sociale, ambientale ed economico. Come spiega la società di analisi Doxa: “I marchi stanno prestando particolare attenzione alla responsabilità sociale delle loro attività”. I brand di salute, bellezza e moda stanno investendo più che mai nei prodotti di produzione locale, concentrandosi su trasparenza, sicurezza e provenienza dei prodotti. In tutto il mondo, sottolinea l’azienda di analisi dati Kantar, “i consumatori sono ora più favorevoli ai prodotti fabbricati a livello locale”.

Ricordiamo infine che in futuro sarà necessario avere spazi abitativi adeguati alle esigenze, per poter lavorare in smart working e usufruire di strumenti tecnologici e connessioni efficienti. Milioni di persone hanno adottato software di lavoro in remoto come Microsoft Teams e Zoom, e questo vuol dire che lo sviluppo delle infrastrutture digitali sarà una condizione indispensabile per lo sviluppo delle città future.

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