Appunti per la scuola #6
Sostegno: una possibile soluzione è la cattedra mista

Sostegno: una possibile soluzione è la cattedra mista

Ci scuserà il lettore se cominciamo l’articolo con un po’ di numeri, ma raramente come in questo caso una piena consapevolezza della gravità della situazione è fondamentale per comprendere l’importanza di soluzioni che a uno sguardo superficiale potrebbero sembrare eccessive.

Secondo i dati dell’Istat e del Ministero dell’istruzione e del merito, gli studenti con disabilità rappresentano il 3,8 per cento degli iscritti a scuola nell’anno scolastico 2020/2021, oltre 316 mila studenti, circa 15 mila in più rispetto all’anno precedente. Secondo il rapporto “L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità | a.s. 2021-2022” gli insegnanti impegnati sul sostegno sono oltre 207 mila: quasi 200 mila nella scuola statale e più di 7 mila nella scuola non statale, in crescita di oltre 16 mila unità rispetto all’anno scolastico precedente. Il 32 per cento circa di questi insegnanti (più di 70 mila!) non ha formazione specifica sul sostegno ma vengono impiegati per far fronte alla carenza di figure specializzate, fenomeno più frequente al Nord, dove la quota di insegnanti non specializzati che svolgono attività di sostegno arriva al 42 per cento, mentre si riduce al 19 per cento nel Mezzogiorno. Il fenomeno è in leggera contrazione (nel 2019 erano il 37 per cento a non avere il titolo), ma resta comunque un dato preoccupante, soprattutto in relazione alla delicatezza del compito che questi docenti sono chiamati a svolgere.

Il fenomeno nasce da lontano, ovviamente, ma i commentatori sono concordi nell’individuare in particolare due fattori più rilevanti di altri che ci hanno portato alla situazione attuale. Il primo è l’incremento progressivo e apparentemente inarrestabile dei cosiddetti posti “in deroga”, ovvero posti di sostegno che sono autorizzati in virtù di un incremento degli studenti ai quali viene riconosciuto il diritto al sostegno ovvero delle ore assegnate a ogni studente, anche ad anno scolastico avviato. Il secondo è il numero insufficiente di posti resi disponibili dalle Università per i corsi di specializzazione.

Un terzo fenomeno, la presenza di un numero significativo di docenti specializzati che non venivano stabilizzati a causa della mancanza di concorsi, negli ultimi anni è venuto meno grazie alla scelta dei governi Conte II, Draghi e, con il decreto 22 aprile 2023, n. 44, anche Meloni di procedere ad assunzioni dalla prima fascia delle graduatorie provinciali per le supplenze, con una procedura sempre di natura concorsuale ma semplificata e quindi molto più rapida.

È Paolo Fasce, oggi Dirigente scolastico dell’Istituto nautico San Giorgio di Genova, ma che da tempo, anche da docente, si è occupato delle problematiche connesse al sostegno, a indicare una possibile soluzione ai due problemi rimasti aperti cui accennavamo sopra. A suo avviso un contributo significativo arriverebbe da un cambio di paradigma logico, prima che organizzativo. 

“Sono moltissimi i docenti specializzati sul sostegno che sono passati su materia, generando il paradosso che nella medesima classe potremmo avere il docente specializzato sul sostegno che insegna lettere e quello abilitato in lettere impiegato sul sostegno senza specializzazione”. “Sono numerosi – prosegue –  i casi di insegnante specializzato che fugge appena possibile dal posto di sostegno: è retribuito come il docente di posto comune, ma, nelle gerarchie implicite dell’aula, si tratta di una posizione meno prestigiosa e le persone vivono anche di soddisfazione personale e professionale, come ci insegna la piramide di Maslow”. 

La tesi del Prof. Fasce è che bisogna dare motivazioni bilancianti che possono essere fornite da soluzioni quali la cosiddetta ‘cattedra mista’, una cattedra entro la quale l’insegnante possa lavorare sia come insegnante di posto comune che come insegnante di sostegno, ovviamente se in possesso dei relativi titoli. Questa modalità va sostenuta innestando un incentivo economico che può essere finanziato appositamente ovvero derivare da ore eccedenti: “nella secondaria, per esempio, a fronte delle ordinarie diciotto ore, questi docenti potrebbero volontariamente optare per dodici sulla disciplina e otto sul sostegno, o anche qualcosa in più fino alle ventiquattro ore settimanali consentite dalla normativa attuale e specularmente si potrebbe anche consentire ai docenti neo immessi in ruolo sul sostegno di impegnarsi per alcune ore sulla disciplina, con una crescita professionale immediata”.

La “ricompensa” per questa disponibilità dovrebbe essere assicurata da uno stipendio più alto, cosa possibile, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica, grazie alla retribuzione delle cosiddette ore eccedenti, o da altre forme di compensazione (alternative e/o aggiuntive) lasciate all’autonomia di ogni scuola, chiaramente in accordo con i sindacati, visto che la materia è oggetto di contrattazione. “Da un lato – spiega Fasce – avremmo il ritorno su sostegno di molti insegnanti specializzati, dall’altro occorrerebbe attivare percorsi di specializzazione per insegnanti di posto comune interessati e disponibili a questo tipo di carriera”. 

Questo approccio avrebbe numerosi vantaggi per tutti i soggetti coinvolti. Dei docenti si è detto, ma consentirebbe anche di diluire su più anni la pressione sugli atenei, superando la disparità territoriale dell’offerta universitaria per i corsi di specializzazione che oggi purtroppo è complementare alla disponibilità di cattedre. Con la cattedra mista una parte del gap di docenti sarebbe colmata da docenti oggi impegnati sulla loro disciplina, ma già specializzati negli anni passati e che potrebbero essere disponibili a tornare sul sostegno per un numero di ore limitato.

Anche gli studenti ne avrebbero un vantaggio (tutti gli studenti, non solo quelli con disabilità), visto che quasi tutte le classi avrebbero a disposizione docenti titolari sulla disciplina con esperienza sul sostegno e docenti titolari sul sostegno con esperienza sulla disciplina. Per le stesse ragioni il consiglio di classe potrebbe trarre giovamento da un lavoro di team fondato anche sulla esperienza quotidiana dei propri membri sulle due tipologie di posto, con ricadute positive sulla programmazione comune e sulla conoscenza della classe.

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