Nonostante i progressi raggiunti, la riduzione delle disuguaglianze e la parità di genere sono traguardi ancora lontani: secondo il World Economic Forum per colmare il divario di genere saranno necessari, a livello mondiale, 135,6 anni. La Giornata internazionale della Donna, celebrata in molti Paesi l’8 marzo e riconosciuta ufficialmente dalle Nazioni Unite nel 1977, è quindi un momento fondamentale di riflessione sulla condizione delle donne in Italia e nel mondo.
Per tutelare i diritti delle donne, nel 1979 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, ratificata, nel 2015, da 189 Paesi. In Italia, la parità di genere e la possibilità di partecipare alla vita economica, politica e sociale senza discriminazioni legate al sesso sono garantite dalla Costituzione italiana, approvata nel 1947. L’articolo 3, infatti, recita:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Secondo il Global Gender Gap Report del 2021, pubblicato dal World Economic Forum, l’Italia si colloca al 63esimo posto su 156 Paesi per parità di genere, evidenziando la necessità di agire per colmare il divario socio-economico.
La scuola non è aperta a tutti e tutte
Le disuguaglianze di genere emergono già durante l’infanzia, ad esempio nell’accesso all’educazione: secondo l’UNICEF, sono 129 milioni le bambine e le ragazze che non frequentano la scuola, una situazione ulteriormente aggravata dalla pandemia di Covid-19. Le difficoltà per le bambine nel ricevere un’istruzione favoriscono l’abbandono scolastico e i matrimoni infantili, un fenomeno che interessa anche l’Italia e che, ad oggi, ha coinvolto nel mondo 650 milioni di spose bambine. La mancata educazione di bambine e ragazze influisce sullo sviluppo socio-economico.
In Italia l’accesso all’educazione è garantito per tutti e tutte dall’articolo 34 della Costituzione. I divari, tuttavia, non mancano e sono spesso il risultato di stereotipi legati al genere, come appare evidente, ad esempio, nelle scelte del percorso di studi: secondo un sondaggio Ipsos condotto per Save The Children, il 54% delle adolescenti si dichiara interessata alle materie scientifiche, ma solo il 22% delle ragazze si iscrive a facoltà universitarie STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica), considerate “poco adatte” a loro.
Gli ostacoli nel mondo del lavoro
L’idea che esistano percorsi di studio più o meno adatti alle donne si riflette, conseguentemente, anche nel mondo del lavoro: le donne che svolgono professioni del futuro, come cloud computing, legate alle materie STEM sono meno degli uomini. Le donne, inoltre, hanno spesso impieghi part time per poter conciliare il lavoro con la cura dei figli, degli anziani e delle persone disabili poiché mancano, in Italia, servizi per la prima infanzia, come gli asili nidi, o di assistenza. Al carico di lavoro non retribuito che pesa sulle donne si aggiungono i lavori domestici: secondo i dati del Gender equality Index 2021, ad esempio, l’80% delle donne intervistate dichiara di dover cucinare e occuparsi della casa ogni giorno, percentuale che scende al 20% per gli uomini.
Gli stereotipi di genere e il contesto sociale e individuale rendono difficile per le donne superare il glass ceiling, il soffitto di cristallo che impedisce loro di accedere a posizioni manageriali: in Italia, ad esempio, le donne che ricoprono il ruolo di amministratrici delegate sono solamente il 3%.
È, inoltre, necessario ricordare le disuguaglianze economiche tra uomini e donne nel mondo del lavoro, prendendo in considerazione il gender pay gap. In Italia il gender pay gap grezzo, ovvero la differenza media della retribuzione lorda oraria fra uomini e donne, nel 2019 si aggirava, secondo le stime dell’Unione Europea, attorno al 5%. Il gender overall earnings gap, che tiene conto del salario orario, delle ore retribuite e del tasso di occupazione femminile, nel 2018 era del 44% in Italia, a confronto con una media europea del 40%. La pari retribuzione salariale tra uomo e donna è garantita dall’articolo 37 della Costituzione.
Le differenze economiche e la mancata indipendenza finanziaria possono sfociare in alcuni casi nella cosiddetta “violenza economica”: la limitazione della libertà di un soggetto (generalmente la donna), sotto la costante minaccia di negare le risorse finanziarie, che dà origine a un rapporto di dipendenza nociva; questo tipo di relazione costringe le vittime a non poter interrompere i legami non avendo gli strumenti indispensabili (denaro, indipendenza e forza psicologica) per farlo ed essere autonome. Il fenomeno coinvolge il 37,8% delle donne che vengono accolte nei centri antiviolenza.
La strada per colmare le disuguaglianze e raggiungere la parità di genere è ancora lunga e necessita di un cambiamento socio-culturale che permetta alla società di capire l’importanza che lo sviluppo personale di una donna gioca nella crescita di un Paese: secondo uno studio di Plan International e Citi, ad esempio, ogni dollaro investito nell’educazione femminile creerebbe un ritorno di 2,8 dollari nei Paesi in via di sviluppo. Inoltre, tra le proposte contenute nel Rapporto ASviS 2021, si segnala la necessità di adottare una normativa nazionale per il superamento dei divari retributivi e la possibilità di istituire un tavolo di confronto istituzionale permanente con la società civile sulle politiche di genere.