Quest’anno ricorre il centenario dell’assegnazione del Premio Nobel per la Fisica ad Albert Einstein (1879-1955) «per i suoi servizi alla Fisica Teorica e in particolare per la sua scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico».
Nel 1921, durante il processo di selezione, il Comitato per il Nobel decise che nessuno dei candidati dell’anno soddisfaceva i criteri delineati nel testamento di Alfred Nobel. Secondo lo statuto della Fondazione, il Premio Nobel può, in tal caso, essere assegnato retroattivamente nell’anno successivo. Il telegramma della Reale Accademia delle Scienze svedese che comunicava l’assegnazione del premio giunse, quindi, solo nel novembre 1922, mentre lo scienziato era in viaggio in Asia con la sua futura moglie.
Le leggi empiriche dell’effetto fotoelettrico erano state trovate da Philipp Eduard Anton von Lenard (1862 – 1947), che aveva ottenuto il Nobel per le sue ricerche sui raggi catodici proprio nell’anno, il 1905, in cui Einstein aveva pubblicato le sue osservazioni sperimentali sull’effetto fotoelettrico.
Grazie ad una geniale intuizione, Einstein collegò l’effetto fotoelettrico all’ipotesi di Planck sul corpo nero.
«Infatti mi sembra che le osservazioni compiutesi sulla radiazione di corpo nero, la fotoluminescenza, l’emissione di raggi catodici tramite luce ultravioletta ed altri gruppi di fenomeni relativi all’emissione ovvero alla trasformazione della luce, risultino molto più comprensibili se vengono considerate in base all’ipotesi che l’energia sia distribuita nello spazio in modo discontinuo. Secondo l’ipotesi che voglio qui proporre, quando un raggio di luce si espande partendo da un punto, l’energia non si distribuisce su volumi sempre più grandi, bensì rimane costituita da un numero finito di quanti di energia localizzati nello spazio e che si muovono senza suddividersi, e che non possono essere assorbiti od emessi parzialmente».
[Emissione e trasformazione della luce da un punto di vista euristico, “Annalen der Physik”, vol. 17, 1905, pagg. 132-148. Tratto dalla traduzione italiana fatta in: Albert Einstein, Teoria dei quanti di luce, Roma, Newton Compton, 1972]
La quantizzazione della radiazione elettromagnetica spiegava quindi gli aspetti fino ad allora oscuri dell’effetto fotoelettrico. Pertanto, non solo la materia ma anche la radiazione mostra un carattere corpuscolare e l’ipotesi di Planck smette di essere un artificio matematico e, anche grazie all’interpretazione di Einstein, diventa il punto di partenza della fisica moderna.
Le attuali cellule fotoelettriche, utilizzate nei dispositivi di allarme o nei cancelli ad apertura automatizzata, sfruttano proprio l’effetto fotoelettrico per il loro funzionamento.
A questo link potete trovare un esempio di esercizi sul tema dell’effetto fotoelettrico, con risoluzione, da proporre agli studenti: “Ora tocca a te”.