Europa: il trattato di Schengen a rischio

Europa: il trattato di Schengen a rischio

Il trattato di Schengen, che prevede la libera circolazione delle persone in Europa, rischia di essere sospeso per almeno due anni. Attivo tra i paesi dell’area UE dal 1999 e oggi valido in 22 paesi membri più quattro paesi esterni (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera), il trattato prevede l’abolizione dei controlli alle frontiere per le persone e, contemporaneamente, il rafforzamento delle frontiere esterne.
Di fronte all’importante flusso di richiedenti asilo degli ultimi mesi (65.000 solo nel gennaio 2016, contro i 5000 del gennaio 2015, secondo l’UNHCR, organizzazione delle Nazioni Unite per i rifugiati), l’Europa ha dimostrato di essere impotente e incapace di dare una risposta solidale e unitaria a queste richieste di aiuto internazionale, dovute alle numerose guerre e situazioni di estrema povertà che letteralmente circondano il continente.
Timidi tentativi sono stati fatti, in particolare dalla cancelliera tedesca Angela Merkel che in autunno aveva dichiarato di voler accogliere i rifugiati siriani, ma la paura ha preso il sopravvento, complici gli attentati del 13 novembre a Parigi e le violenze avvenute a capodanno nella città tedesca di Colonia.
L’Europa dei diritti dell’uomo, della democrazia e delle libertà si trova così oggi in scacco matto, e la sola reazione proveniente dai palazzi è quella di chiudere le frontiere.

Già nel 2015 numerosi paesi (Germania, Francia, Austria, Norvegia, Svezia e Danimarca) hanno reintrodotto i controlli alle frontiere, misura temporanea (massimo 6 mesi) prevista dal trattato. Oggi in discussione c’è invece l’applicazione dell’articolo 26 del trattato, che prevede la sospensione della libera circolazione in tutta l’Unione per un periodo di massimo due anni. La decisione verrà presa, con ogni probabilità, durante il consiglio europeo del 18 e 19 febbraio.

Nel frattempo duri attacchi sono stati rivolti alla Grecia, colpevole, secondo Johanna Miki-Leitner, ministra dell’interno austriaca, di non essersi “dimostrata all’altezza della responsabilità di un paese alla frontiera esterna dell’area Schengen”, sottintendendo con ciò la richiesta di esclusione dallo spazio Schengen della Grecia. Si tenga presente che dei 65.000 arrivi via mare di gennaio, 61.000 sono approdati in Grecia (fonte UNHCR): sono cifre che mettono in evidenza le difficoltà cui sta facendo fronte il paese. Non sono però i possibili disagi per la penisola ellenica a preoccupare gli altri paesi europei, bensì il fatto che molti di questi nuovi arrivi puntano all’Europa del nord (Germania e Scandinavia in particolare).

Mentre i paesi europei battibeccano e pensano di limitare la libertà di circolazione dei loro cittadini, oltre che dei richiedenti asilo, le notizie dal Mar Egeo sono un bollettino di guerra: quotidianamente veniamo a sapere di naufragi e morti (l’ultimo solo ieri), tra cui numerosi bambini. Sempre facendo riferimento ai dati dell’UNHCR, infatti, il 27% delle persone giunte in Europa via mare sono minori. Il moto di solidarietà suscitato dalla foto del piccolo Aylan, morto cercando di raggiungere l’Europa con la sua famiglia, sembra ormai un lontano ricordo.
Alcuni politici europei stanno cercando di correre ai ripari per evitare la sospensione di Schengen. Come il francese Bernard Cazeneuve che ha proposto, tra le altre cose, l’applicazione del programma di ridistribuzione di 160.000 profughi, deciso a settembre 2015, rimasto sostanzialmente inapplicato. Ma, come ha dichiarato a Davos Mark Rutte, primo ministro olandese, l’Europa ha solo poche settimane per salvare l’area Schengen.

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