Della matematica non si butta via niente

Della matematica non si butta via niente

In questo inizio di anno scolastico mi tornano in mente alcuni aneddoti di quando frequentavo l’università.

Uno dei professori si presentò dicendo che lui avrebbe spiegato gli argomenti ripetendo sempre le cose due volte. Due volte.

Le sue spiegazioni erano chiarissime da un punto di vista formale, da ottimo matematico. Poi, ripetute due volte – due volte, non tre, due – diventavano ancora più chiare. Ma non andavano a fondo sul significato delle cose.

Un giorno entrai in crisi quando ci disse che lui soltanto a quarant’anni aveva finalmente capito che cos’è una derivata, tanto per farci capire che la strada era ancora lunga. E io che invece avevo appena dato l’esame di Analisi convinto di aver capito tutto… pensai: “sta’ a vedere che c’è qualcosa sotto”.

L’illuminazione mi venne l’anno successivo quando incontrai un altro professore, questa volta un fisico sperimentale, che ci spiegò che la derivata è un po’ come prendere il maiale e fare i salami, mentre l’integrale (indefinito, suppongo) è un po’ come prendere i salami e cercare di tornare ad avere il maiale.

Non ho mai detto ai miei alunni di aver compreso le derivate solamente a quarant’anni: li ho abbondantemente superati e probabilmente non ho ancora capito che cosa siano.

Un giorno però riportai in classe la visione delle derivate del secondo professore. Naturalmente il primo ragazzo che interrogai dopo quel giorno, alla richiesta della definizione di derivata, mi raccontò del maiale e dei salami. In modo abbastanza rigoroso peraltro.

Credo che le idee sul concetto di derivata dei due professori abbiano lasciato un seguito. La prima delle due la voglia di capire che cosa c’è dietro: forse è servita più questa frase di tutte le spiegazioni rigorose per capire che bisogna andare dentro al significato delle cose. La seconda la voglia di pensare a cosa ci fosse di vero e di falso o, meglio, di verosimile e di sciocco in quella frase.

Probabilmente pure questo è matematica.

Quando invece penso alla risposta del mio alunno, mi rendo conto che spesso abituiamo i nostri studenti a ripetere a macchinetta e questo, invece, non è matematica.

Per fare un altro esempio, sono convinto che facciano più matematica i miei pittoreschi compaesani quando giocano a carte all’osteria, rispetto ai miei alunni che mi recitano un teorema senza averci capito un accidente. C’è del ragionamento e della passione intorno a un tavolo di osteria, mentre non ce n’è in quell’interrogazione.

È così che poi vengono a dirci che la matematica è asettica e scollegata dal mondo reale.  Niente di più falso.

Se qualcuno a suo tempo si è inventato i numeri negativi, è stato per una necessità reale, pensateci. Se poi qualcun altro ha giocato di fantasia costruendo l’insieme Z con tutte le sue proprietà, questo non è essere asettici: è gioco e fantasia. Che poi, magari in un momento successivo, si applica di nuovo alla realtà.

Non siamo così distanti dall’arte: lì si lavora di fantasia e si dà una propria rappresentazione del mondo reale e, talvolta, si va oltre, facendo diventare realtà il puro pensiero. E chissà che poi non sia il mondo reale ad assumere la forma della nostra fantasia.

Ecco. Lascio ai ragazzi un quesito e a tutti – ragazzi e insegnanti – un augurio.

Il quesito è: ma perché meno per meno fa più e più per meno fa meno? Non è una regola. È una necessità. Cercate.

L’augurio è che quest’anno sia così come ho detto sopra: tra fantasia e realtà, tra ricerca e scoperta.

 

Buon anno scolastico!

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